Festa di S. Pietro e Paolo - Mt 16,13-19

Il compito del papa, vescovi e presbiteri: appoggiati sulla roccia della fede in Gesù il Cristo, è essere i primi mattoni della Chiesa nella quale sono chiamati non ad imperare, ma a presiedere all'unità nella carità nello svolgere il comune compito dell'evangelizzazione nella sequela.



Siamo alla terza domenica del Tempo Ordinario e ci ritroviamo con una terza festa, quella di S. Pietro e Paolo, a riprendere la riflessione della III di Pasqua nella quale la Liturgia ci ha proposto dall’Evangelo di Giovanni (21,1-19) l’episodio della pesca miracolosa. In quell’occasione si è sottolineato come sia Simon Pietro a tornare indietro da solo a prendere la rete piena di 153 grossi pesci per portarla a riva senza che si rompesse. Questa è l’immagine simbolica del compito affidato subito dopo a Simone da Gesù: presiedere all’unità della Chiesa e all’evangelizzazione. Compito al quale a cascata partecipano tutti quelli ai quali viene riconosciuto questa capacità, questo carisma: vescovi e presbiteri. Questo non significa che viene loro dato un potere assoluto, che può dare ordini indiscutibili e, meno ancora, quello di costituire una casta privilegiata e staccata dalla comunità di tutti i fratelli, di tutti i battezzati. I carismi hanno certamente ruoli diversi ma camminano nella condivisione della medesima sequela del Signore Gesù il Cristo.

 

Oggi ci viene proposto di approfondire questo ruolo e in particolare quello di Pietro al di là di quanto comunemente una tradizione con la “t” minuscola ci ha e continua purtroppo a proporci. Anche Francesco ha più volte sottolineato come il ruolo del Papa vada rivisto e ricompreso. L’Evangelo di oggi può aiutarci e darci qualche indicazione.

L’episodio è conosciuto; è Gesù che pone due domande ai discepoli (anche a tutti noi!): “La gente, chi dice che sia il Figlio dell'uomo” e poi “Ma voi chi dite io sia”. Alla risposta di Simone “Tu sei il Cristo” corrisponde un “Tu sei Pietro” di Gesù a Simone, vale a dire: questa tua affermazione di fede è la roccia sulla quale devi appoggiare tutta la tua vita di sequela. Prima di questo però Gesù lo definisce figlio di Giona” indicandogli così che il suo percorso sarà simile a quello di quel profeta che, non comprendendo l'invito di Dio, prima di compierlo cerca di sfuggirgli facendo il contrario. Aggiunge inoltre che lui non ci è arrivato da solo ad affermalo come il Cristo, ma è il Padre che glielo ha rivelato. Nell’ultimo versetto del brano l’evangelista ricorda che Gesù severamente impone, come ha già fatto con i demoni, ai discepoli il silenzio su chi lui sia in realtà. La ragione è semplice: Simone ha dato una risposta corretta solo nella forma, in realtà ha in mente un’idea completamente distorta. È convinto che Gesù stia per restaurare il regno di Israele e pensa che questo si attuerà mediante una ostentazione di forza, prodigi e segni che lo imporranno a tutti.

Nella pericope dell’Evangelo segue una raccolta si “semitismi” molto lontani dalla nostra mentalità: la traduzione e lettura tradizionale non aiuta di certo a partire da quel “Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa”. 

Di una roccia posta a fondamento della Chiesa si parla altre volte nelle Scritture cristiane, ma questa immagine è riferita sempre e solo Gesù il Cristo (per esempio in 1 Cor 3,11 o in Ef 2,19-21). Lo afferma chiaramente anche Pietro nella sua prima lettera (2,4-6) quando rivolgendosi ai cristiani afferma: “Anche voi venite impiegati come pietre vive per la costruzione di un edificio spirituale”, uniti come siete alla “pietra angolare, scelta, preziosa” collocata da Dio, nel giorno di Pasqua, come base di tutta la costruzione.

In effetti il termine greco con il quale Gesù chiama Simone Pietro, significa una pietra nel senso di un sasso, un mattone da costruzione mentre il termine seguente tradotto nel medesimo modo, parla di una roccia che è la fede su chi è Gesù: “il Cristo il Figlio del Dio vivente”.

Dunque a Simone e a tutti coloro che gli succederanno in quel ministero, è chiesto di essere il primo mattone appoggiato sulla pietra stabile della fede in Gesù Cristo ed è questo che gli garantisce la capacità di guidare tutti gli altri “mattoni” che siamo noi, verso quella “giustizia più grande” (Mt 5,17-20) con la quale si può “legare e sciogliere”. Questo semitismo significa insegnare, guidare, trasmettere con autorevolezza e non con quel suo contrario che è un “autoritarismo” che non vuole e non dà la possibilità di essere verificato e/o messo in discussione. Questo chiaramente coinvolge anche Paolo.

Se sarà così, le forze della morte non avranno mai potere su di una Comunità fondata sul Dio vivente e “le chiavi del regno” (che non è l’aldilà, ma la realtà che Gesù è venuto ad inaugurare in questo nostro mondo), rappresentano l’essere responsabile della fede delle persone che partecipano all’edificio della Chiesa “come pietre vive”, non come realtà passive sulle quali disporre ed imperare.

Questo significa la sinodalità sul cui rotta papa Francesco ha riposizionato l’intera Chiesa, un cammino comune generale al quale tutti partecipano perché tutti siamo “pietre vive” che hanno posto le loro radici sulle fede in Gesù Cristo. Sinodalità dunque non solo tra il papa e i vescovi, tra i vescovi con i preti mentre i battezzati devono solo seguire le loro decisioni. No, non è questo perché il loro ruolo è quello di “suscitare e presiedere all’unità nella carità”, non quello di imperare.

(BiGio)  

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