Una cattiva notizia (e una buona) sul cambiamento climatico anche negli Usa nonostante Trump

Il quadro nelle grandi città è destinato a peggiorare senza interventi strutturali. Il dato positivo è che comunque la transizione ambientale procede, dai trasporti alla casa fino alle fonti d'energia


La sensazione di quanto il clima sia cambiato in chi ha qualche anno in più è netta. I mesi estivi rischiano infatti di trasformarsi in una sequenza di ondate di calore. L’Istat calcola che, nell’ultimo decennio, i giorni di afa e le notti tropicali sono in netta crescita rispetto al decennio 2006-2015 con un’anomalia climatica di +19 giorni e +20 notti. 
L’Italia paga oggi un prezzo pesante al riscaldamento globale. La cattiva notizia è che tutto questo è destinato a peggiorare, quella buona è che ...

L'articolo di Leonardo Becchetti è a questo link:

Zohra, la musica che sfida il silenzio dei Talebani.

Nata in Afghanistan sotto l’egida del National Institute of Music, l’orchestra femminile Zohra è diventata un potente simbolo di emancipazione e resistenza in un Paese dove alle donne è proibito anche solo far sentire la propria voce. 


Tra persecuzioni, fughe e concerti internazionali, la loro musica mescola strumenti tradizionali afghani e sonorità occidentali, portando al mondo un messaggio di libertà e bellezza. Il 10 luglio le ragazze di Zohra suoneranno a Milano, al teatro No’hma, in una serata che è molto più di un concerto: è un inno alla vita e alla dignità contro ogni forma di oscurantismo

 Il racconto di Bettaniniè a questo link:

https://formiche.net/2025/07/zohra-la-musica-che-sfida-il-silenzio-dei-talebani-il-racconto-di-bettanini/#content

XIV Domenica PA - Lc 10,1-12.17-20

Il compito che da Gesù ai 72 discepoli, è quello di preparargli la strada, di aiutare chi incontrano per la via ad essere pronti ad accogliere il Signore nella loro vita che passa dopo i discepoli, non prima. Sta poi a lui “convertirli” e farli diventare suoi discepoli. Se nella storia i cristiani avessero compreso che questo, quanti disastri non sarebbero stati compiuti.

Iniziato questo tratto dell’anno liturgico che ci condurrà alla Festa di Cristo Re con due feste nelle quali prima è stata riassunta l’identità di Dio (Festa SS. Trinità) e poi quella della Comunità dei credenti che, partecipando al Pane Unico, diventano il Corpo del Signore e vengono così inviati ad essere la sua presenza tra gli uomini. Domenica scorsa, nella Festa di S. Pietro e Paolo, l’attenzione è stata posta su tutti coloro ai quali viene riconosciuto e chiesto di svolgere il carisma di suscitare e presiedere all’unità nella carità.

In questo quadro l’Evangelo di oggi sviluppa l’invio in missione dei discepoli sulle strade del mondo da parte di Gesù, i compiti assegnati, lo stile dell’annuncio, le sue modalità e la riconsegna al Signore di quanto realizzato.

Innanzitutto i discepoli ad essere inviati sono 72, numero che la Genesi afferma essere il numero dei popoli presenti sulla terra. Questo a dirci che non c’è un solo popolo al quale viene affidato l’annuncio del Regno già presene in mezzo a noi, ma chiunque abbracci la fede in Gesù il Cristo ne è il portatore; nessuno ne è escluso e tutti fanno parte di quella “moltitudine immensa di ogni nazione, razza, popolo e lingua” che sta “in piedi davanti al trono dell’Agnello” (Ap 7,9).

Poi sono inviati a coppie: l’annuncio dell’Evangelo non affidato a singole persone, non è opera individuale ma, per quanto piccola, di una comunità che si sostiene a vicenda, testimonia e conferma la testimonianza di ciascuno. Fin dagli Atti degli Apostoli questa prassi è documentata e coloro che venivano mandati non parlavano a titolo personale ma sentivano di rappresentare la loro Comunità (At 8,14 – 13.1). Questa modalità di seppur minima comunità, rappresenta per gli inviati la reciproca garanzia che non si cerchi vie personalistiche per emergere, di garantirsi un futuro, di farsi servire invece che di servire, giudicare.

Il compito che da a loro Gesù, è quello di preparargli la strada, di aiutare chi incontrano per la via ad essere pronti ad accogliere il Signore nella loro vita che passa dopo i discepoli, non prima. Il loro compito è quello di raddrizzare i sentieri, riempire le buche, abbassare i colli (IS 40,3-5) che nella vita di ciascuno possono essere d’intralcio all’incontro con il Signore. Poi sta a lui “convertirli” e farle in modo che chiedano il battesimo per essere suoi discepoli. Se nella storia i cristiani avessero compreso che questo, quanti disastri non sarebbero stati compiuti.

L’invito a pregare il Padrone delle Messi, non significa delegare al Padre il compito di risolvere il problema di chi deve spianare la strada alla salvezza, ma quello di chiedergli di garantire che ogni discepolo non debordi dalla sequela, non scada nell’orgoglio della presunzione, rimanga capace di superare le delusioni, gli insuccessi e invece rimanga perseverante in quel compito affidato e assunto al quale tutti i battezzati sono chiamati.

Lo stile della missione, seguendo l’immagine e l’esempio di Gesù, è quella dell’agnello, non dei lupi cioè della presunzione di chi sa già tutto fino alla violenza, sapendo che quella verbale uccide più della spada. Anche gli strumenti da usare sono importanti: non il denaro, gli appoggi di amici influenti, la tentazione di competere con i poteri forti, rinunciando alle sicurezze umane, confidando solo sulla forza della Scrittura.

L’essere in missione corrisponde alla sequela che per ogni discepolo è una sfida contro se stesso che dura l’intera vita nel tentativo di corrispondere sempre più all’immagine del Cristo fino a poter dire con Paolo “non sono più io che vivo ma Cristo che vive in me!” (Gal 2,19-21) e, alla fine della vita, “ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la mia corsa, ho conservato la fede” (2Tim 4,7-9)

Ma cosa annunciare? la pace. Non il vivere tranquilli e sereni, non l’assenza di conflitti personali, non l’assenza di guerre: queste sono faccende riguardano noi uomini e dobbiamo sbrigarle da soli. La “pace” che ci viene chiesto di annunciare è la riappacificazione tra Dio e l’umanità avvenuta attraverso la vita-passione-morte-risurrezione del Cristo, è l’avvento del suo “regno” che è già tra di noi e al quale ci viene chiesto di dare corpo. È questa che offre la capacità di “curare” (non “guarire” come traduce erroneamente la Cei) i malati, non tanto quelli “fisici”, ma quelli posseduti dai “demoni” (che scoprono sottomettersi loro nel nome del Signore) o dagli “spiriti immondi” (Mc 5,1-10), cioè dall’egoismo, dall’orgoglio, dalla presunzione di poter fare tutto da soli.

Per questo per la missione non basta avere pochi mezzi, occorre essere poveri, non basta proclamare il Regno di Dio, occorre essere uomini di Dio, non basta annunciare la pace, occorre essere operatori di pace nell’affidamento totale al Signore nel quale si potrà sperimentare la protezione che ci accorda: “Nulla potrà farvi del male”. Solo così potrà manifestarsi la potenza dello Spirito di Dio. Per questo per ultima cosa Gesù dice “Rallegratevi, non tanto per i vostri successi”, “«Rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono scritti nei cieli»”, cioè l’esperienza di sentirsi amati da Dio, nel partecipare già al suo Regno che, in questo modo, siete riusciti a porre qualche pietra.

(BiGio)

 

Così il Dalai Lama avvia la sua trascendentale reincarnazione

La guida spirituale del Tibet ha ribadito con forza che, nonostante le trame della Cina comunista, la secolare istituzione religiosa buddista riconosciuta e apprezzata in tutto il mondo perpetuerà la sua azione anche dopo la sua morte. L’analisi di Gianfranco D’Anna


Quando un Dalai Lama muore, la successione procede non attraverso un Conclave o una selezione consultiva, ma mediante una reincarnazione trascendentale. Nobel per la pace e simbolo mondiale di amore, compassione e saggezza unanimemente riconosciuto, il Dalai Lama, al secolo Tenzin Gyatso, ha compiuto 90 anni ed ha annunciato di avere predisposto che già dal momento della sua morte scattino le procedure per la successione, cioè la scelta di un erede nel quale reincarnarsi, come é accaduto in 14 occasioni dall’istituzione nel 1587 della carismatica figura della guida universale del buddismo tibetano...

L’analisi di Gianfranco D’Anna è a questo link:

https://formiche.net/2025/07/cosi-il-dalai-lama-avvia-la-sua-trascendentale-reincarnazione/#content

Il legame tra Hezbollah e l’Iran si sta incrinando?

Recenti attacchi a installazioni iraniane non hanno visto una risposta militare da parte di Hezbollah, che ha preferito limitarsi a dichiarazioni di solidarietà. La scelta riflette vulnerabilità strategiche e l’attuale priorità del gruppo: la propria sopravvivenza. 


Negli ultimi giorni, un pesante attacco congiunto dagli Stati Uniti e Israele ha colpito varie installazioni nucleari iraniane (tra cui Fordow, Natanz e Isfahan). Nonostante le forti dichiarazioni di solidarietà da parte di Hezbollah nei confronti dell’Iran, il gruppo libanese non ha reagito con offensive concrete. Ha scelto di rimanere militarmente passiva, affidandosi alla retorica e ai gesti simbolici piuttosto che all’impegno diretto. Una calcolata moderazione che sottolinea le vulnerabilità strategiche dell’organizzazione, riconducibili alle opposizioni interne, alle battute d’arresto operative e alla profonda dipendenza dal sostegno iraniano. La domanda centrale ora è se Hezbollah sceglierà ...

L’analisi di Antonio Teti, professore dell’Università “G. D’Annunzio” di Chieti-Pescara è a questo link:

Onu, gravi violazioni contro i minori aumentate del 25%

Un rapporto del segretario generale delle Nazioni Unite rivela che il numero delle violazioni contro i bambini nei conflitti armati è il più alto degli ultimi 30 anni, con 41.370 episodi nel 2024. I Paesi con i più alti livelli sono stati Israele e Palestina, in particolare la Striscia di Gaza, la Repubblica Democratica del Congo, la Somalia, la Nigeria e Haiti


Uccisioni, mutilazioni, stupri: il numero delle violazioni contro i bambini nei conflitti armati, con 41.370 episodi nel 2024, è il più alto degli ultimi 30 anni. Lo rivela un nuovo rapporto del segretario generale delle Nazioni Unite su bambini e conflitti armati pubblicato giovedì 19 giugno. Le cifre allarmanti, per il terzo anno consecutivo, certificano un aumento del 25% delle violazioni rispetto al 2023, che testimonia, da tutte le parti in conflitto, il palese disprezzo per il diritto internazionale e per i diritti e le tutele speciali di cui dovrebbero godere i minori. 

L'articolo di Beatrice Guarrera è a questo link:

Rwanda e RD Congo firmano la pace a Washington

I ministri degli esteri dei due Paesi africani hanno firmato nello Studio Ovale l'intesa che mette fine alla guerra e apre a nuove prospettive economiche e commerciali. la soddisfazione del presidente Trump. Fondamentale la mediazione del Qatar


I ministri degli Esteri della Repubblica Democratica del Congo, Teresa Kayiwamba, e del Ruanda, Olivier Nduhungirehe, hanno firmato l’accordo di pace nello Studio Ovale. Dopo essere stati accolti dal presidente Donald Trump i due ministri hanno siglato l’accordo alla presenza del segretario di Stato americano Marc Rubio.

La notizia di Vatican News è a questo link:

Gli attivisti di Gazan protestano contro la guerra con le foto dei bambini israeliani: "L'unica via di uscita e che israeliani e palestinesi si uniscano per la pace"

È ora che tutti quanti abbiano a cuore la pace e la convivenza tra i due popoli smettano di tifare per gli uni o per altri ma li uniscano in un unico progetto di convivenza

"Non rinunciare alla responsabilità di chiedere la pace": gli attivisti di Gazan protestano contro la guerra con le foto dei bambini israeliani
A Gaza, nei giorni scorsi, proteste silenziose dei residenti palestinesi nella Striscia di Gaza, inclusi genitori in lutto, con foto di bambini israeliani uccisi il 7 ottobre. La resistenza si sta svolgendo in collaborazione con il nostro movimento, che negli ultimi mesi ha tenuto insieme ad altre forze simili proteste in Israele contro la guerra di sterminio a Gaza, con foto di bambini palestinesi morti in guerra.
I partecipanti all'Iniziativa Gaza sono membri del Comitato Gioventù Gazan, che ha lanciato la campagna "Vivere Insieme, Morire Insieme", che chiede la fine della guerra, il rilascio di tutti i rapiti e l'uccisione di civili da entrambe le parti.
L'organizzatore della protesta Ramaz, che ha perso i suoi tre figli e i suoi cugini uccisi in guerra, ha detto: "Piangiamo con ogni famiglia ebrea, cristiana o musulmana che ha perso un figlio in questa guerra. Il nostro dolore non ci acceca di fronte alle sofferenze altrui - siamo contro l'uccisione di bambini, palestinesi o israeliani. ”
Ha chiesto di inviare un messaggio ai manifestanti israeliani contro la guerra: "Ti vediamo, e siamo con te che chiediamo di fermare le uccisioni. ”
Gli attivisti a Gaza hanno aggiunto: "Sebbene viviamo sotto assedio, fame, morte e sfollamento - non voltiamo le spalle alla pace. Anche quando il mondo ci volta le spalle, non rinunciamo alla responsabilità di parlare in nome della pace. Non vogliamo che nessuno sia la prossima vittima - vogliamo che tutti noi siamo la prossima speranza.
"In Israele e a Gaza, il popolo è migliore dei suoi leader. È ora di porre fine alla guerra di sterminio a Gaza e produrre per i bambini di questo paese.
Un futuro migliore, di vita in sicurezza e uguaglianza"
"Non concediamo la nostra responsabilità di chiedere la pace": gli attivisti di Gaza protestano contro la guerra usando foto di bambini israeliani.
A Gaza, nei giorni scorsi, sono iniziate le bancarelle silenziose per i palestinesi nella Striscia di Gaza, tra cui Thakali, che portano foto di bambini israeliani uccisi il 7 ottobre. Gli spalti si tengono in un'iniziativa congiunta con il nostro movimento e negli ultimi mesi abbiamo tenuto posizioni simili in Israele contro la guerra di genocidio a Gaza, durante la quale abbiamo caricato immagini dei bambini palestinesi uccisi in guerra.
I partecipanti all'iniziativa a Gaza sono membri del "Comitato Gioventù Gaziano", che ha lanciato una campagna intitolata "Viviamo insieme, moriamo insieme", che chiede lo stop alla guerra, il rilascio di tutti i rapiti e lo stop alle uccisioni di civili da entrambe le parti. L'organizzatore della protesta, (Ramez), che ha perso i suoi tre figli e i suoi cugini sono stati uccisi in guerra, ha dichiarato:
"Condividiamo il nostro dolore con ogni famiglia ebrea, cristiana o musulmana che ha perso un figlio in questa guerra. Il nostro dolore non ci rende ciechi di fronte alle sofferenze degli altri – siamo contro l’uccidere i bambini, palestinesi o israeliani. "
La sua richiesta di inviare un messaggio ai manifestanti israeliani contro la guerra: "Vi vediamo e siamo con voi nel chiedere la fine delle uccisioni. "Gli attivisti a Gaza hanno aggiunto: "Sebbene viviamo sotto assedio, fame, morte e sfollamento, non voltiamo le spalle alla pace. " Anche quando il mondo ci volta le spalle, non rinunciamo alla nostra responsabilità di parlare in nome della pace. Non vogliamo che nessuno sia la prossima vittima, vogliamo che sia la prossima speranza. "
"In Israele e Gaza, i popoli sono migliori dei loro leader. È tempo di porre fine alla guerra genocida a Gaza, e creare un futuro migliore per i bambini di questo Paese, un futuro di vita, sicurezza e uguaglianza. "

(notizia riportata in un post di Gabriele Boccaccini)

Essere ebrei dopo Gaza

Essere ebrei dopo la distruzione di Gaza è il titolo di un libro di Peter Beinart che, a fine maggio, è stato pubblicato in lingua italiana. Il titolo già rivolto al futuro, al «dopo Gaza», propone una riflessione sull’ebraismo che, come ha fatto Anna Foa col libro Il suicidio di Israele, interroga sul futuro dello Stato e del popolo di Israele


Fin dalle prime pagine traspare la profonda e dolorosa divisione che esiste, in tutto il mondo, tra – e nelle – comunità ebraiche. L’autore, prima del prologo, apre il libro con una lettera intitolata «Un messaggio per un mio ex amico». In queste due pagine emerge la radicale contrapposizione tra gli ebrei che sostengono, in modo ostinato ed incrollabile, lo Stato di Israele e coloro che, come il giornalista autore del libro, hanno il coraggio di criticare le scelte del governo di Tel Aviv. Non c’è un nome per questo «ex amico» che, molto probabilmente, è solo una figura dettata dalla finzione narrativa. Il risultato è molto efficace: nelle ultime righe di questa lettera, l’autore anticipa il tema del «tribalismo», verso il quale rischiano di scivolare i cittadini di Israele, le stesse comunità ebraiche della diaspora, e forse il mondo intero.

La recensione di Andrea Piazza è a questo link:

https://www.settimananews.it/libri-film/ebrei-dopo-gaza/

Dopo la globalizzazione: le religioni tra guerre e nazionalismi

Uno dei contributi più rilevanti offerto a tutti i mondi credenti e secolarizzato da Papa Francesco è stato quello di prospettare un’alternativa alla schizofrenia della globalizzazione dimezzata che non ci ha portato alla pace che proponeva ma alla guerra continua, nella quale ognuno ormai si sente chiamato a estirpare il male.

Una volta emerso il paradigma tecnocratico la globalizzazione non ha più offerto nei fatti l’orizzonte che aveva prospettato all’inizio con la rivoluzione della comunicazione istantanea e transfrontaliera. Non ha più perseguito quello che approva il suo impulso originario. La partenza ha illuso alcuni che il multilateralismo non servisse più, che il mondo viaggiasse verso il superamento delle diversità. Francesco ha visto questo pericolo e ha offerto alla globalizzazione un’identità pluralista con il famoso discorso del poliedro, che unisce e preserva le differenze. Il discorso cattolico, così, è giunto a Fratelli tutti e in precedenza si è sistematizzato, soprattutto per la bollente terra di mezzo del Vicino Oriente, con il Documento sulla Fratellanza Umana. La sua prospettiva complessiva ha offerto, con opportunità di crescita materiale e di arricchimento spirituale, la libertà e l’incontro delle diversità.

Non si è imboccata questa strada, i rischi sono aumentati; conflitti, mutamenti climatici, terrorismi e neo colonialismi feroci hanno creato enormi squilibri....

La riflessione di Riccardo Cristiano è a questo link:

https://www.settimananews.it/religioni/dopo-la-globalizzazione-religioni-guerre-nazionalismi/?utm_source=newsletter-2025-06-24