Figli/e delle migrazioni: una parabola significativa

Per cercare di dire qualcosa sui «figli delle migrazioni», seguendo un metodo già sperimentato in ricerche precedenti, si è scelto di pubblicare, in versione abbreviata, una delle interviste in profondità raccolte sul tema


L’intervista è a Kejsi Hodo che è stata raggiunta – all’inizio di settembre 2025 – negli Stati Uniti dove si trova per un breve soggiorno di studio. La sua unica e personale vicenda ci pare possa rappresentare una parabola significativa della vicenda di persone, nate e/o cresciute in Italia, figlie di persone migranti. Una parabola che, per il lettore e la lettrice, può mostrare molte virtualità sociali e umane, oltre che sollecitare pensieri a chi si interessa responsabilmente della vita – e del futuro – del nostro paese nei suoi significati e valori di fondo....

L'articolo a cura di 

Dati sanitari e cooperazione clinica. La medical intelligence nel disegno africano di Pechino

A Tunisi, il primo Forum tunisino per lo sviluppo della medicina sino-africana mette in mostra l’evoluzione del modello sanitario di Pechino, che attraverso cooperazione clinica, chirurgia robotica, digitalizzazione e un crescente ruolo nella raccolta dei dati, costruisce nel tempo un vantaggio informativo difficilmente recuperabile


 Nei corridoi del Palais des Congrès, più di cinquecento esperti e centotrenta specialisti cinesi dialogano con delegazioni di quindici Paesi africani, mentre il ministro della Salute tunisino, Mustafa Ferjani, insiste sul ruolo della Tunisia come “ponte naturale” tra Pechino e il continente africano. Affianca la rilevanza del Forum un dato geopolitico: quello dell’utilizzo della sanità come nuovo asse della competizione contemporanea, e di come la Cina sia divenuta, nel tempo, un attore ormai strutturato nel ridisegnare ...

L'articolo di Jacopo Marzano è a questo link:

https://formiche.net/2025/11/dati-sanitari-e-cooperazione-clinica-la-medical-intelligence-nel-disegno-africano-di-pechino/#content

Perchè il Papa non ha pregato come Wojtyła, Ratzinger e Bergoglio nella Moschea Blu?

La decisione di Papa Leone XIV di non pregare nella Moschea Blu di Istanbul a differenza dei suoi predecessori, a suscitato molte domande


La realtà prende di petto la nostra abitudine a distinguere nettamente il “giusto” dallo “sbagliato”, quel che si deve fare da quel che non si deve fare. È il 30 novembre 2006 quando Benedetto XVI entra nella Moschea Blu di Istanbul e si sofferma, su invito del Gran Muftì della città, a pregare in silenzio qualche istante in direzione della Mecca. Lo stupore afferra tutti i presenti ...

La riflessione di Federico Picchetto è a questo link:

https://www.ilsussidiario.net/news/papa-nella-moschea-blu-perche-prevost-non-ha-pregato-come-wojtyla-ratzinger-e-bergoglio-e-in-libano/2909817/?fbclid=IwY2xjawOaTvtleHRuA2FlbQIxMABicmlkETFyajI2UkpLTnlyN3h4ZkNSc3J0YwZhcHBfaWQQMjIyMDM5MTc4ODIwMDg5MgABHv2ecYvE0ICUFG7ijSqItA5kbt9Il4dUi4yLu0w291r2ExzKNvp3x0glCQlV_aem_XxpQ0L6HBehXLzh3zmYJRA

Gli ex Sindaci di Venezia Bergamo, Cacciari, Costa e Orsoni sulla crisi della Fenice

Gli ex Sindaci di Venezia Bergamo, Cacciari, Costa e Orsoni: dalla crisi della Fenice si esca senza forzature e ricatti.



Scriviamo per esprimere la nostra forte preoccupazione per la crisi che inopinatamente affligge da qualche mese il Teatro La Fenice, il teatro al quale ognuno di noi ha dedicato attenzione ed energie presiedendone la Fondazione durante i rispettivi mandati di Sindaco di Venezia.

Preoccupazione per una crisi assurda, auto-inflitta e che si sarebbe potuto facilmente evitare se solo nella delicata scelta del direttore musicale si fossero seguiti criteri di buon senso consolidati nelle regole e nelle prassi seguite in tutti i grandi teatri del mondo: regole e prassi che vogliono che direttore ed

orchestra vengano messi nelle condizioni di conoscersi, di lavorare assieme fino a stabilire un clima di stima reciproca, prima di affidare le proprie sorti l’una all’altro e viceversa. Regola sempre applicata anche nei confronti di direttori di fama mondiale che non hanno esitato a dimettersi di fronte alla sfiducia loro manifestata dall’orchestra.

La decisione d’imperio presa alla Fenice -- contrariamente all’annuncio da parte del Sovrintendente di voler rispettare regola e prassi da applicare ad una rosa di candidati-- con la nomina a direttore musicale di Beatrice Venezi non poteva

non generare la reazione dell’Orchestra e del Coro a difesa del proprio diritto- dovere di garantirsi, e garantire, la qualità artistica del proprio lavoro: il vero grande patrimonio del Teatro.

Qualità artistica raggiunta in lunghi anni di lavoro che --per la fortuna del Teatro e della città—hanno portato la Fenice ai livelli di eccellenza riconosciuti anche in questi giorni di rappresentazione de “La Clemenza di Tito” sotto la direzione del maestro Ivor Bolton: primo evento del programma della stagione 2025-26

lasciato in eredità dal sovrintendente Ortombina.

La radice della crisi sta tutta in quella rottura della prassi di scelta dei direttori musicali –che è forma piena di sostanza-- che nessuna copertura, né del Consiglio di indirizzo, ma neanche del Ministro Giuli, può sanare d’autorità.

La crisi può essere risolta solo ripartendo da capo nel rispetto delle regole.

Lo richiede il mantenimento del livello di eccellenza del Teatro La Fenice.

Lo richiede Venezia che nella Fenice ha uno dei segni della grande città che vuole continuare ad essere.

Nel frattempo, occorre che le parti, Dirigenza della Fenice, da un lato, e

Orchestra, Coro, e lavoratori tutti, dall’altro, gestiscano il confronto nel rispetto delle legittime posizioni reciproche.

In questa ottica vanno ringraziate le maestranze della Fenice che

responsabilmente non hanno scioperato lo scorso 20 novembre in occasione dell’apertura della stagione operistica 2025-26.

Non può invece essere apprezzata la decisione della Dirigenza della Fenice di sospendere la liquidazione della quota di welfare aziendale 2025 ai dipendenti del Teatro: l’insussistenza di motivazioni economico-finanziare e la tempistica della sua applicazione suonano come una ingiustificata ritorsione. È pressante il nostro invito a rivedere al più presto questa decisione per liberare tutti da ogni sospetto di ricatto e per riaprire la strada al dialogo necessario.


Venezia 29 novembre 2025

Ugo Bergamo

Massimo Cacciari

Paolo Costa

Giorgio Orsoni

 

Che servizio hanno reso davvero a Venezi i suoi promotori?

Nella vicenda della nomina di Beatrice Venezi alla direzione musicale della Fenice c’è qualcosa che merita di essere messo più a fuoco della volontà politica, che è chiarissima: il maschilismo implicito con cui è stata imposta, raccontata e difesa la sua figura.


Tanto è stato detto e scritto sia sulla nomina imposta senza confronto con l’orchestra che sulla scelta lontana dai criteri di competenza ed esperienza per un incarico del genere.

Di fronte al dissenso di tutte le fondazioni liriche, orchestre, teatri e conservatori, il sottosegretario alla cultura Mazzi, anziché tutelare il valore delle istituzioni culturali, ha scelto di fare il bullo con coloro che dovrebbe rappresentare.  
Mazzi ha gestito il dissenso in una logica propagandistica, arrivando a sostenere che grazie al "dibattito" su Venezi si parla di opera su tutti i giornali.
Anche di Garlasco si parla moltissimo. Ma non risulta sia mai stato un vanto per nessuno. Evidentemente per Mazzi il clamore vale più della competenza.

Ma in questo "dibattito", oltre al metodo e al merito, anche il linguaggio è rilevante, perché evidenzia una retorica machista, paternalista e maschilista.  

Mazzi chiama Colabianchi "eroe".
Colabianchi chiama Venezi "ragazza", riducendo a diminutivo l’identità di una professionista. 
Il ministro Giuli la definisce "principessa che farà innamorare gli orchestrali", come se a contare fossero grazia e immaginario da favola, non competenza ed esperienza. È lo stesso vecchio copione di sempre: celebrare le donne solo se rientrano in uno schema che rassicura il potere maschile.

Così Venezi è diventata da un lato emblema inconsapevole di una femminilità addomesticata e funzionale: giovane, telegenica, gestibile. Dall'altro la sua immagine è passata nel tritacarne dei social uscendone come meme ridicolo e sessista.  

L'ostinazione politica a confermare la sua nomina alla Fenice non la rafforza: la espone, la isola, la svuota di legittimità.
L’impressione è che più che promuoverla, il governo l’abbia sacrificata per usarla come vessillo ideologico. Invece di accompagnarne la crescita, l’ha spinta in un ruolo da cui è difficile uscire bene. Il risultato è una narrazione distorta, che fa danno non solo a lei, ma a tutte le donne che faticano ogni giorno a vedersi riconosciute per ciò che sanno fare, non per come appaiono o per quanto sono “brave ragazze”.

La "principessa" Beatrice Venezi, lungi dall'essere una martire, è comunque stata infantilizzata, sminuita e delegittimata proprio da coloro che intendono proteggerla. 
Non le resta ora resta che una scelta difficile ma necessaria: quella di affrancarsi da chi l’ha usata, e provare a costruire in autonomia il proprio spazio, con la propria voce. Quella di fare un passo indietro rispetto alla Fenice, dove qualunque dialogo con i lavoratori e le lavoratrici è ormai compromesso. 
Sarebbe un gesto di forza e dignità per sé, ma anche per la cultura. 

Non c'è rispetto  se una donna viene usata come strumento di propaganda politica. Non c'è rispetto se viene trasformata in simbolo da difendere a spada tratta, senza ascoltare la realtà in cui deve operare.  
Una cultura realmente egualitaria si costruisce anche così: restituendo alle donne la libertà di parlare in prima persona, di scegliere i propri tempi, di affermarsi per merito e non per investitura.

Un quarto degli israeliani pensa di lasciare il paese

Nel corso del 2025 circa un israeliano su quattro ha preso in considerazione l’idea di lasciare lo stato ebraico, almeno temporaneamente. Il dato emerge dal rapporto annuale dell’Israel Democracy Institute, che fotografa uno stato d’animo diffuso: stanchezza, incertezza e una crescente sensazione di assedio sociale ed economico. 

L’indagine, condotta ad aprile di quest’anno, mostra che il 26% degli ebrei e il 30% degli arabi israeliani valuta la possibilità di emigrare.

Il fenomeno, spiegano i ricercatori, non è uniforme. Tra gli ebrei emerge un profilo chiaro dei possibili partenti: giovani, laici, benestanti, spesso con doppio passaporto. In questa fascia la propensione a partire supera il 60%. Il modello statistico, si legge nell’indagine, «mostra che, combinando reddito alto, giovane età e doppia cittadinanza, la probabilità di voler lasciare Israele può arrivare fino all’80%». Le ragioni del malessere sono ...

L'articolo siglato d.r è a questo link:

https://moked.it/blog/2025/11/24/israele-un-quarto-degli-israeliani-pensa-di-lasciare-il-paese/

Notizie in breve ...

Cinque nuovi post da leggere:

Il Papa a Nicea – Ecumenismo a Venezia: una ricorrenza importante – L’apocalisse non come fine ma … - A caccia di Hamas a Gaza – Il “peso” di Trump


a questo link:


https://spigolando-in-breve.blogspot.com/

1 Domenica di Avvento - Mt 24,37-44

Non ci è dato sapere il tempo.

Ci è dato solo amare nel tempo.

(Mariangela Gualtieri)

Non è un caso che ogni anno la prima domenica di Avvento riprenda il tema della penultima domenica dell’Anno Liturgico precedente e che queste pongano l’accento sulla parusia ovvero sulla venuta nella gloria di Gesù alla fine del tempo. Come non è un caso che al centro, tra queste due domeniche, ci sia la Festa di Cristo Re centrata su un Evangelo che richiami o si riferisca alla sua morte in croce (in Marco e Luca) o al Giudizio finale (in Matteo). Il ruolo di questa Festa è appunto quella di fare da sintesi tra un cammino di conoscenza e invito alla sequela di Gesù secondo uno dei sinottici e l’avvio di un analogo percorso secondo lo specifico taglio dato da un altro evangelista.

Già questo dovrebbe avvertirci che l’Avvento non è teso tanto al Natale, quanto al ritorno del Signore nella gloria e che il tempo liturgico che inizia oggi tenta di ravvivare questa attesa e il grido che dovrebbe essere costante di tutti i cristiani “Maranathà, vieni Signore Gesù, ritorna presto”.

L’attesa allora si caratterizza come un periodo teso a preparare il futuro anticipandolo, sperandolo, invocandolo; non un tempo limitato ma che a partire da queste quattro settimane dovrebbe supportare ogni istante della vita e dell’agire dei cristiani. L’attesa non è un tempo morto come è facile pensare, bensì la preparazione del futuro intervenendo nel presente perché è la soglia tra la storia e la manifestazione in pienezza del Regno di Dio.

L’Evangelo di oggi si raccorda benissimo con quello di due settimane fa e il quadro è il medesimo: i discepoli che ammirano il Tempio di Gerusalemme in tutto il suo splendore e Gesù che afferma gelandoli: ”non rimarrà pietra su pietra che non sia distrutta”. Come nel brano di Luca anche qui torna l’invito ad essere attenti, ad ascoltare, a vigilare cioè a imparare a discernere i segni dei tempi, a cogliere i “suggerimenti”, ovvero il “giudizio” di Dio che giunge puntuale anche se spesso in modo e tempi inattesi. Infatti quando i discepoli gli chiedono “quando accadrà questo?” Gesù pare eludere la risposta in realtà offre un insegnamento che rimane attuale per gli uomini di ogni tempo e, per farsi capire cita tre esempi.

Certo, questa pericope oggi può lasciare perplessi, dare origine a interpretazioni stravaganti oppure si presta, come purtroppo è stato fatto e ancora oggi a volte accade, a cercare di sottomettere con la paura i semplici. Queste interpretazioni hanno origine dalla mancata comprensione del genere letterario “apocalittico” molto usato al tempo di Gesù, ma che è piuttosto alieno dalla nostra mentalità e cultura. Un principio va sempre tenuto presente: L’Evangelo è, per sua natura, buona notizia, annuncio di gioia e speranza. Chi se ne serve per incutere spavento e per creare angosce lo sta usando in modo scorretto, allontanandoci dal suo vero significato.

Gesù fa degli esempi partendo da un racconto biblico: Noè seppe discernere i segni dei tempi e si salvò mentre i suoi contemporanei lo deridevano. Non vi è nulla di riprovevole in quanto facevano “mangiavano e bevevano, prendevano moglie e prendevano marito”: è la quotidianità come anche quella dei due uomini che lavorano nei campi e delle due donne che macinano alla mola. Il problema non è il che cosa facevano o si sta facendo, ma il come. Vivere il quotidiano con noncuranza come una routine senza fine, porta ad essere inconsapevoli di quello che si fa e si finisce a non rendersi conto di nulla in una esistenza incosciente. 

Noè non ha evitato il diluvio, ma ha saputo e potuto affrontarlo attraversandolo, i suoi contemporanei non si resero conto di nulla ed il “giudizio” è sul come hanno vissuto prima della catastrofe. Anche nella nostra vita, magari colpevolizzandoci, a volte ci troviamo a riflettere che se avessimo agito in un altro modo probabilmente le cose sarebbero andate diversamente ma, a quel punto è troppo tardi. Ogni nostro evento futuro è approntato nel presente, siamo chiamati a prepararlo coscientemente nel quotidiano. Nel caso dei due uomini (uno preso e l’altro lasciato) e delle due donne (una presa e l’altra lasciata) ciò che viene e verrà alla luce è il come hanno vissuto il loro presente. 

In questo periodo liturgico siamo chiamati a ravvivare l'attenzione sull'attesa della venuta, o meglio del ritorno del Signore. Questo sarà il momento nel quale saranno svelate e gettate nel fuoco ogni ambiguità, ogni negligenza, ogni supponenza; saranno invece portate alla luce ogni attenzione a quanto ci circonda, ogni speranza fattivamente perseguita con costanza nella fiducia capace di farci uscire dall’inerzia e dall’insapore nei quali i gesti quotidiani ripetuti, le abitudini, le solite relazioni possono trascinarci.

Ecco allora il senso di quei tre imperativi finali: “vegliate”, “cercare di capire”, “siate pronti”: il Signore certamente verrà e sarà il natale di una nuova creazione nel segno del Regno del Padre. Maranathà, buon cammino.

(BiGio)

 

Avvento: ma la venuta di chi attendono i cristiani?

L’inizio di ogni Anno Liturgico la liturgia ci accompagna a riscoprire l’attesa, a vivere la speranza e a coltivare l’esultanza per la venuta di Cristo nella storia e per il suo ritorno nella Parusia: è questo l’Avvento che oggi i cristiani sono chiamati a vivere e celebrare.



Oggi inizia il nuovo Anno Liturgico con la prima Domenica di Avvento. È un qualcosa che normalmente diamo per “scontato”. Ma ci siamo mai posti la domanda del “perché” con l’Avvento? Siamo sicuri che la nostra risposta sia quella corretta?

Per scoprirlo la domanda più precisa da porsi è: quale “avvento” attendono i cristiani? O meglio: la venuta di chi attendono i cristiani?

Si è abituati a legare questo periodo liturgico alla celebrazione del Natale di Gesù ma questa festa “celebra” un fatto già accaduto una volta per tutte e non si può “attendere” la venuta di un qualcosa che non può rinnovarsi. Nell’Incarnazione con la nascita di Gesù a Betlemme convenzionalmente 2025 anni fa Dio si è fatto uomo e come dice S. Giovanni nel suo Evangelo ha scelto di fare dell’umanità la sua dimora permanente. La nostra esperienza nella fede ce lo conferma. 

Allora, la venuta di chi attendono i cristiani? Sempre di Gesù Cristo che ci ha promesso di tornare alla fine dei tempi nella gloria del Padre. È per questo che il “grido”, l’invocazione costante dei cristiani è (o dovrebbe essere): “Maranathà, vieni Signore Gesù”, mentre: “Io credo con fede piena e perfetta alla venuta del Messia e, benché tardi, io l’attendo ogni giorno” è una preghiera ebraica che ci unisce nell’attesa del Veniente.

 

Ma perché l’attesa della sua venuta definitiva viene sempre proposta alla fine di un Anno Liturgico e all’inizio del nuovo?

1.   Perché si è terminato il cammino di un anno accompagnati da un Evangelista (Luca quest’anno) che ci ha proposto la sua comprensione di chi sia stato Gesù e nelle ultime domeniche ha proposto l’attesa dalla sua venuta (ritorno) richiamando i “tempi ultimi”. Nel nuovo Anno Liturgico il cammino di conoscenza e di adesione al Signore viene presentato da un altro dei Sinottici (Matteo quest’anno) che ha sue caratteristiche peculiari. 

Ogni Evangelista ha un suo proprio messaggio perché scrive a una Comunità diversa e accentua uno o più aspetti, caratteristiche e messaggi che potesse aiutarla e guidarla nella sequela. Per questo la composizione dei loro testi esprime un particolare percorso teologico che li differenzia uno dall’altro.

2.  Allora l’Evangelo di ogni prima Domenica di Avvento fa da raccordo riprendendo il tema apocalittico con il quale si era chiuso l’Anno Liturgico appena terminato per dirci di fare attenzione: con il tesoro di quanto appreso, siamo chiamati ad attendere la venuta/ritorno del Cristo che il messaggio dell’Evangelista di quest’anno ci presenterà con delle sottolineature teologico/pastorali diverse.

In altre parole, all’inizio di ogni Anno Liturgico la liturgia ci accompagna a riscoprire l’attesa, a vivere la speranza e a coltivare l’esultanza per la venuta di Cristo nella storia e per il suo ritorno nella Parusia: è questo l’Avvento che oggi i cristiani sono chiamati a vivere e celebrare.

Nel primo suo Avvento Cristo ha portato a compimento le antiche promesse e salvato ciò che era perduto, in quello finale ci prenderà con sé e ci chiamerà a vivere il regno già ora presente in nuce, ma che allora sarà totalmente svelato e realizzato. 

Nel tempo di Avvento la liturgia accompagna i cristiani a scoprire le due venute di Cristo nel mondo: quella avvenuta una volta per tutte all’inizio della redenzione e la sua seconda venuta alla fine dei tempi. Tra le due venute, se ne colloca una terza: il tempo che viviamo noi oggi.

Siamo chiamati a fare memoria grata dell’Avvento storico, scoprire con gioia quello intermedio e attendere vigilantiquello escatologico. È questo il cammino nel quale la Liturgia ci accompagna e attraverso il quale possiamo prepararci a celebrare con stupore e commozione il Natale del Signore che, svuotando sé stesso e assumendo la condizione di servo (cfr. Fil 2,7), si “abbrevia” per abitare in mezzo a noi (cfr. Gv 1,14) fino a fare di noi la sua dimora (Gv 14,23). 

Ultima nota a margine: il Natale si può comprendere correttamente solo alla luce della croce e della risurrezione. Per dire questo nelle icone orientali della natività il bambino non è collocato in una mangiatoria come nel presepe di S. Francesco ma in un sarcofago che ci rimanda alla venuta del tempo escatologico che stiamo attendendo.

Buon cammino!

(BiGio)

Da Gaza alla Cisgiordania : il "New Normal" del conflitto permanente

Mentre Gaza affonda nel fango e nella fame, Israele lancia nuove operazioni in Cisgiordania, alimentando i sospetti di voler imporre una nuova realtà sul terreno.



Secondo gli ultimi sondaggi, il sostegno a Hamas è più alto in Cisgiordania che nella Striscia di Gaza. E oggi, nella West Bank, l’85% dei palestinesi è contrario al disarmo dell’organizzazione islamista. Non è pertanto così remota la possibilità che ci siano dei nuovi nuclei terroristici che si stanno impiantando nel nord del Territorio palestinese. Al tempo stesso, nelle aree della West Bank che finiscono sotto diretto controllo dell’esercito israeliano è più facile poi costruire nuove colonie. Interpretare univocamente l’ultima operazione ‘anti-terrorismo’ in Cisgiordania non è quindi scontato. Ciò che è certo è che violenza chiama violenza ...

L'analisi xdell'ISPI è a questo link:


L'articolo di Roberto Paglialonga è a questo link: