Si dice spesso che chi è morto "è tornato alla casa del Padre": ma siamo sicuri che questo dire sia corretto?
Per questa Domenica nella quale si commemorano tutti i defunti la Liturgia propone alla nostra riflessione un brano del lungo discorso di Gesù nella Sinagoga di Cafarnao in quella che viene definita come la sezione del “pane” perché in questa il Signore afferma di farsi pane perché quanti lo assimilino diventino a loro volta pane e alimento di vita per gli altri. Nel donarsi, nel farsi pane per gli altri, ci comunica la stessa vita del Padre che non ha fine ed è per questo che supera la nostra caducità e la stessa morte. Lo fa perché siamo “preziosi ai suoi occhi”, ci ama (Is 43,4) ed ha un preciso piano, una precisa volontà su di noi.
Nei quattro versetti del brano Gesù insiste su questa volontà del Padre richiamandola ben quattro volte e questa è l’affidare alle sue premure l’intera umanità che è destinata tutta ad andare da lui. Ciascuno, uno per uno senza alcuna condizione riconoscendo la sua voce si sentirà chiamato per nome. Accogliendo la sua Parola si fiderà della sua proposta facendo così trasparire nella sua vita quella del Signore. Sembra un’utopia difficile da realizzarsi ma Gesù ci riassicura subito “È questa la volontà del Padre che mi ha mandato: che io non perda niente di tutto quello che egli mi ha dato, ma che lo risusciti nell’ultimo giorno”.
Non sta qui parlando della fine del mondo ma di quell’ora nella quale sarà crocefisso nella quale annunzierà che “tutto” il progetto del Padre sull’umanità si “è compiuto” e “consegna” (cioè dona) “lo Spirito” che è datore di vita. Il giorno della sua morte allora in realtà non è la fine di tutto, bensì è un’esplosione di vita.
Gesù ripete ancora nell’ultimo versetto che “la volontà del Padre” è “che chiunque vede il Figlio e pone la sua fiducia in lui abbia vita eterna” senza l’articolo determinativo come normalmente si trova erroneamente tradotto perché qui non si sta parlando di una vita che inizia dopo la morte, come un premio per la buona condotta tenuta nel nostro quotidiano. No Gesù afferma che chi pone la sua fiducia in lui e lo segue facendo quello che lui ha fatto, amando e donando la sua vita agli altri facendosi prossimo, vive una vita che è già “eterna”, non tanto per la durata indefinita ma per la qualità che è divina e quindi indistruttibile. Il dono dello Spirito, ci assicura Gesù, porta con sé la risurrezione: una nuova vita dopo il perdono del peccato che è l’esistere senza lo Spirito, cioè senza la partecipazione della medesima vita di Dio che è eterna. Se già nell’oggi viviamo di questa, l’esperienza della morte fisica non può cancellarla ma solo trasformarla in una modalità che oggi possiamo vivere solo come in uno specchio (1Cor 13,12).
In un altro passo Gesù ci assicura che «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui”. L’uomo diventa così la dimora, la casa di Dio (Gv 14,23-24). Il compimento (e non la morte!) della nostra esistenza in questa realtà non fa altro che far esplodere la vita “divina” che è in noi facendo risplendere in toto quella di Dio. Paolo afferma che in quel giorno le nostre opere saranno saggiate come con il fuoco, quelle che avremo compiuto fondandole sull’imitazione di Gesù resisteranno, mentre quelle costruite altrimenti finiranno bruciate, tuttavia saremo salvati (1Cor 3,10-15). Quel bene che avremo operato, poco o grande che sia, brillerà mentre il resto diventerà cenere che sarà dispersa ma la nostra parte divina sussisterà perché Dio non può smentire se stesso.
Per questo si deve stare attenti quando con troppa facilità diciamo che quando uno muore “torna alla casa del Padre”: siamo già noi nel nostro oggi la sua casa in quella “parte buona” che abbiamo compiuto facendo la sua volontà, facendo trasparire nella nostra vita il suo agire. È questo che ci rende ulteriormente “preziosi ai suoi occhi” e capaci di farci pane per gli altri come lui si è fatto pane per noi.
(BiGio)
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