Nella chiesa non è sufficiente fare dei servizi, ma occorre divenire dei servi, essere servi. Con l’ascolto come fa Maria, noi lasciamo che Gesù sia il Signore, altrimenti, con l’attivismo frenetico di Marta, finiamo col sentirci protagonisti e divenire noi i signori e padroni.
La scorsa Domenica, rispondendo con una domanda al Dottore della Legge Gesù gli aveva chiesto “Che cosa sta scritto nella Legge?” aggiungendo subito dopo di seguito “Che cosa leggi?” cioè “che cosa capisci?”. Non basta leggere, non basta conoscere, non basta sapere ma bisogna pure avere la capacità e l’impegno di penetrare nelle sue fibre per comprendere fino in fondo le sue vere intenzioni. Si era evidenziato come sia necessario essere attenti e rispettare il testo in tutte le sue sfumature a volte tradite dalle traduzioni.
Uguale attenzione bisogna porre nel leggere la breve pericope di oggi dell’ospitalità data a Gesù da Marta e Maria evitando di interpretarla secondo l’attuale nostra mentalità occidentale, tanto meno contrapponendo la vita attiva di Marta a quella contemplativa di Maria prediligendone una, rispetto a quell’altra. Nulla di tutto questo.
Si è notato come la Liturgia attraverso l’Evangelo di Luca, dopo averci fatto riflettere su chi sia Dio, sulla Comunità chiamata ad essere le mani (il corpo) di Cristo nella nostra quotidianità, sul carisma di chi è chiamato a presiederla suscitando e garantendone l’unità nella carità, ha iniziato a farci porre l’attenzione sull’agire dei credenti inviati in missione a preparare la strada al Signore che viene, guardando la storia con gli occhi di chi ne subisce la violenza lasciandosi coinvolgere nella capacità di con-solare e il prendersene cura che ne deriva facendo un tratto di strada assieme.
È interessante notare dove si colloca brano di oggi all’interno del terzo Evangelo. Viene dopo la domanda “Chi è il mio prossimo” (10,29) di domenica scorsa ed è immediatamente seguito dalla richiesta dei discepoli a Gesù: “Insegnaci a pregare” (11,1). Posto come crocevia di questi due interrogativi, il brano di oggi risponde a entrambi ponendo la base essenziale per amare Dio e il prossimo: non una senza l’altra.
Se ci si fa caso, Gesù è in cammino con i discepoli verso Gerusalemme ma stranamente entra da solo in un villaggio. Il termine usato per definire questo posto identifica sempre una realtà ostile, che guarda con sospetto a quel gruppo capitanato da un profeta dal messaggio non consueto. Forse per questo i discepoli non lo seguono e, per di più, viene accolto in casa da due donne cosa in quel tempo era ritenuto grandemente sconveniente: Marta che significa “signora/padrona” e Maria. Inoltre mai nessun Maestro avrebbe mai accettato una donna fra i suoi discepoli (la postura di Maria la qualifica come tale). Dicevano i rabbini: “È meglio bruciare la Scrittura che metterla in mano ad una donna”; “Le donne non osino pronunciare la benedizione prima dei pasti”; “Se una donna va alla sinagoga, stia nascosta, non compaia in pubblico”. È facile allora cogliere come tutto l’agire di Gesù sia provocatorio nei confronti un mondo bloccato da convenzioni sociali ataviche fatte assumere anche dalla religiosità.
Il racconto lo conosciamo: Marta si “affanna e si agita” per dare compiutezza all’ospitalità, mentre Maria si accoccola ai piedi di Gesù ascoltando la sua Parola, cioè tutto il suo insegnamento. Marta si prende la libertà di rimproverare Gesù perché sua sorella non l’aiuta. È necessario fare attenzione al linguaggio usato da Marta tutta incentrata su se stessa e intenta a “fare” fino a giudicare improprio l’atteggiamento della sorella e tira in mezzo Gesù: gelosia e uso dell’altro ai propri fini? A volte può accadere anche nelle nostre Comunità (come appare in Atti 6,1ss) e pure nella nostra quotidiana vita relazionale in casa, al lavoro, tra gli amici.
L’intervento di Gesù a prima vista pare essere in aperto contrasto con quanto ha proposto la scorsa domenica dove elogiava il samaritano che si era dato da fare mentre oggi sembra proporre come modello una donna che non muove un dito per aiutare la sorella.
In realtà entrambi gli atteggiamenti sono essenziali alla configurazione di una autentica e piena ospitalità e alla vocazione cristiana ad amare Dio e il prossimo. Il problema riguarda il modo del servizio. C’è per Marta, come sempre nella chiesa, la possibilità di un servizio che diventa totalizzante, che distrae dall’essenziale (v. 40), che chiude all’ascolto della Parola e se ne distacca. Mentre è l’ascolto che crea la qualità di servo, come avviene per il Servo del Signore di cui parla Isaia, a cui il Signore apre ogni giorno l’orecchio affinché ascolti come i discepoli (Is 50,4). Nella chiesa non è sufficiente fare dei servizi, ma occorre divenire dei servi, essere servi. Con l’ascolto come fa Maria, noi lasciamo che Gesù sia il Signore, altrimenti, con l’attivismo frenetico di Marta, finiamo col sentirci protagonisti e divenire noi i signori e padroni.
È curioso: i modelli di ascolto della Parola che ci vengono proposti da Luca sono tutti rappresentati da donne (Lc 1,38.45; 2,19; 8,21). Che voglia significare qualcosa?
(BiGio)
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