Gaza: cessate il fuoco (forse) ma non la "pace". Nel frattempo l'ipocrisia di Netanyahu avanza

La pace si avrà solo attraverso una riconciliazione il che prevede un riconoscimento reciproco al di là da venire. Nel frattempo solo parole vuote e quelle che vengono chiamate "demolizioni controllate" proseguono a gran ritmo


Nella striscia di Gaza, oltre all’uccisione quotidiana di decine di civili palestinesi, è in corso da inizio aprile la metodica distruzione di tutte le aree edificate. Una politica di coerente e progressivo azzeramento delle zone urbane voluta dal governo di Benjamin Netanyahu dominato dall’estrema destra messianica israeliana. «I residenti di Gaza non hanno più case dove tornare. Il mondo che hanno conosciuto e le loro vite di una volta sono semplicemente spariti per sempre», denuncia alla stampa israeliana il direttore dell’Istituto dei Sistemi di Informazione Geografica all’Università Ebraica di Gerusalemme, Adi Ben-Nun. Lo studioso ha analizzato centinaia di immagini satellitari ed è ricorso a un algoritmo per valutare la scala delle devastazioni. Anche la Bbc in un approfondito servizio pubblica le immagini di quelle che definisce «demolizioni controllate», che si sono intensificate e allargate dopo la rottura a marzo per volere di Netanyahu del cessate il fuoco con Hamas, che era stato annunciato lo scorso 19 gennaio. Bin Nun valuta che siano stati gravemente danneggiati più di 160.000 edifici, un dato che rappresenta ben oltre il 70 per cento delle areee edificate nella Striscia, per renderli inabitabili. 

«La devastazione è a ogni livello, dalle abitazioni private, agli edifici pubblici, oltre a fabbriche, officine, scuole e aree agricole: nulla resta in piedi», aggiunge. E osserva che lo scempio potrebbe anche essere maggiore, dato che le immagini dei satelliti non si soffermano sui danni ai muri se non individuano tetti collassati. Uno dei luoghi più colpiti è la città meridionale di Rafah, lungo il confine con il Sinai egiziano, dove abitavano prima del 7 ottobre 2023 circa 275.000 persone e adesso l’80 per cento degli edifici è ridotto in polvere o quasi completamente annientato. I contractor privati assunti dall’esercito con le loro ruspe ricevono sino a 1.500 dollari per edificio demolito. Lo stesso Netanyahu ribadiva in maggio: «Stiamo distruggendo tutto, così non potranno mai più tornare».

Tra i palestinesi dei territori occupati con cui parliamo in questi giorni tanti affermano risentiti che bisogna essere cristiani legati alle Chiese occidentali, o avere la doppia cittadinanza americana per godere di un poco di attenzione nel mondo. Come adesso, che, dopo l’attacco israeliano all’unica chiesa cattolica della Striscia giovedì mattina, la comunità internazionale alza la voce contro la guerra. Oppure come a inizio settimana, quando l’uccisione vicino a Ramallah da parte dei coloni ebrei di un ventenne nato sulle colline della Cisgiordania e residente negli Usa (era tornato per una breve vacanza) ha scatenato l’inusuale condanna dell’ambasciata americana.

Ma la realtà quotidiana della repressione israeliana è sotto gli occhi di tutti coloro che appena vogliono vedere. I bombardamenti continuano indiscriminati con l’evidente obbiettivo di convincere la gente a emigrare (dove non si sa, dato che i confini sono chiusi e nessuno Stato sembra disponibile ad accogliere i gazawi). Il sito israeliano +972 spiega che i meccanismi di puntamento per missili e droni adottati dall’esercito sono diretti dall’intelligenza artificiale programmata per accettare la morte di 15-20 civili innocenti per ogni militante di Hamas eliminato e sino a 100 in caso si tratti di un pezzo grosso dell’organizzazione islamica.

(L.Cr. per il CorSera)

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