In occasione della ricorrenza dedicata a chi si impegna per il mantenimento della pace e della stabilità globali, una analisi del ruolo della comunità internazionale, che ha cercato di creare missioni di pace alternative a quelle fondate sul dispiegamento dei militari. Marco Mascia, presidente del Centro di Ateneo per i diritti umani dell'Università di Padova: "Se esistesse un Corpo non armato e non violento della società civile questo farebbe la differenza sul terreno"
Gli embrioni del peacekeeping civile, disarmato e non violento — come realtà autonome rispetto alle forme di peacekeeping onusiano, i cosiddetti Caschi blu per intenderci — fanno la loro comparsa negli anni Novanta nel contesto di crisi internazionale determinato dallo sgretolamento del Muro di Berlino. A prevedere un maggiore coinvolgimento del ruolo della società civile nel contesto internazionale sono state nel 1992 due iniziative in ambito Onu: il progetto di riforma dell’organizzazione elaborata dall’allora segretario generale Boutros Boutros-Ghali e denominata Agenda per la pace; e la cosiddetta “Arria formula”, dal nome del rappresentante venezuelano dell’epoca in Consiglio di sicurezza. Mentre il primo documento introduceva per la prima volta il concetto di peacebuilding, e cioè di costruzione della pace prima che i conflitti si incancrenissero, il secondo lanciava la prassi di una consultazione costante tra il Consiglio di sicurezza e le organizzazioni non governative che operavano nelle aree di crisi, in particolare Bosnia ed Erzegovina e Rwanda.
Ad illustrarci la genesi delle operazioni di pace civili e disarmate è Marco Mascia ...
L'articolo di Stefano Leszczynski è a questo link:
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