Lc 10,25-37 – XV Domenica PA

I cinque personaggi della parabola del Samaritano (che non viene definito "buono") sono senza nome perché siamo noi ... seppure non siamo quel sesto che tenta Gesù ...

 


È bello comprendere il cammino che la Liturgia ci propone di domenica in domenica, accompagnandoci passo a passo ad approfondire non in modo occasionale, ma facendo attenzione a strutturare il nostro cammino di sequela in modo compiuto.

Ci ha introdotto in questo tratto dell’anno liturgico sintetizzando chi sia Dio e cosa ci fa diventare Comunità: il partecipare al Pane Unico che ci rende il Corpo del Signore rendendoci la sua presenza tra gli uomini. Poi ci ha chiesto di porre la nostra attenzione su tutti coloro ai quali viene riconosciuto e chiesto di svolgere il carisma di suscitare e presiedere all’unità nella carità nel ministero al quale siamo tutti chiamati: la missione sulle strade del mondo. Ci è stato indicato cosa fare: annunciare la pace e “curare” spianando la strada dell’avvento del Signore con modalità e stili ben precisi, senza sostituirsi a lui.

 

Da questa Domenica l’attenzione si sposta sul singolo credente fornendo progressivamente l’identità che, come tale, gli è chiesto di far propria. L’occasione è una serie di incontri di Gesù nel suo andare, di confronti, domande che gli vengono poste, sintesi che lui propone. Sono pericopi molto conosciute e il pericolo è quello di porvi poca attenzione dandone per scontato il significato.

Oggi si inizia con la parabola del “buon samaritano” e qui già si incorre in due errori. Il primo è quella di estrapolarla dal contesto del confronto di Gesù con il dottore della Legge che si alza “per mettere alla prova Gesù” senza far caso che il verbo usato è il medesimo usato per raccontare l’azione del diavolo nei confronti del Signore al termine dei 40 giorni passati nel deserto dopo il suo battesimo (Lc 4,2). Quindi questo “mettere alla prova” sarebbe più corretto tradurlo “per tentare” Gesù rendendo evidente che questo dottore della Legge è in realtà uno strumento del diavolo. 

Il secondo errore è il titolo che normalmente si dà a questa parabola nella quale l’aggettivo “buono” per il samaritano non compare. È una libera aggiunta che si fa immedesimandosi dalla parte dei “buoni” senza interrogarsi realmente a cosa il brano realmente inviti. 

Al dottore della Legge Gesù, in perfetto stile rabbinico, risponde con una domanda che può benissimo essere rivolta anche a noi in merito al nostro modo di approcciare la Scrittura e in particolare queste pericopi molto conosciute. Gesù chiede, ci chiede: “Che cosa sta scritto?” è significativamente aggiunge: “Che cosa leggi?” cioè “che cosa capisci?”. Non basta leggere, non basta conoscere, non basta sapere ma bisogna pure avere la capacità e l’impegno di penetrare nelle sue fibre per comprendere fino in fondo le sue vere intenzioni. La saggezza ebraica afferma che ciò che Dio desidera dirci “sta negli spazi bianchi tra una lettera e l’altra”. A noi il saperlo individuare, interpretare, conoscere, far nostro.

La storia la si conosce: un uomo scende da Gerusalemme e i banditi lo lasciano in fin di vita. Tutti i personaggi sono senza nome perché ci viene chiesto di porci nei panni di ciascuno degli interpreti: il malcapitato spogliato dei sui vestiti, cioè della sua identità, il sacerdote, il levita, il samaritano e l’oste. Forse, molto probabilmente, siamo un mix di tutti e cinque … questo non dovrebbe farci rimanere tranquilli e, forse, potremmo essere anche quel dottore della Legge…

Il racconto ha anche momenti ironici. Per esempio dopo l’aggressione in un percorso non frequentatissimo e comunque molto probabilmente avvenuto in un tratto dove potesse non essere facilmente visto, il malcapitato era destinato a morte certa. La nostra versione dice che “per caso” … in realtà sarebbe più corretto tradurre il termine usato con “fortunatamente” passò prima un sacerdote e poi un levita: bella fortuna! Ambedue si attengono alla “Legge”: vedono e passano oltre per non contaminarsi.

Quello che Gesù sta mettendo in questione è una faccenda molto seria: la “Legge” va osservata anche quando è causa di sofferenza per gli uomini? Quando c’è conflitto tra la legge divina e il bene dell’uomo, cosa si fa? Quali le scelte nostre e delle nostre Chiese?

Si deve poi diffidare dal porre l’accento sull’eccezionalità dell’agire del samaritano perché, più lo si considera un modello altissimo, più lo “disincarna” e il centro di tutto diventa il nostro ego, noi stessi e non l’altro e il suo bisogno.

Si deve cambiare radicalmente prospettiva ed aderire a quella di Gesù che, nella parabola, è quella del malcapitato e del suo vissuto: tutto viene raccontato dal suo punto di vista. Non punta sull’esemplarità del samaritano, ma cerca di farci entrare nella pelle del ferito, nell’esperienza traumatica di un uomo senza volto, senza nome, spogliato di tutto. Ci riusciremo? Ma è solo così che riusciremo a interpretare correttamente quell'essere "misericordioso" (mettere il proprio cuor a fianco dei miseri) perché capace di "consolare" (essere assieme a chi è solo) che è stato del samaritano. Tutto il resto viene di conseguenza…

(BiGio)

 

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