“Mentre andavano, furono purificati” (non “guariti”!): c'è un cammino da fare e sono importanti i verbi di "movimento" che Luca usa e gli atteggiamenti suggeriti
In queste settimane Gesù ha intessuto molte attenzioni alla realtà che si vive e a come orientare questa e la nostra vita nella sua sequela, c’è un filo rosso che le attraversa tutte: l’ascolto della Parola del Padre che è l’essenza della preghiera, del rapporto personale con il Signore nel dialogo “faccia a faccia”. Questo ci garantisce di poter guardare nella nostra quotidianità con lo stesso sguardo di Dio e di “vedere” gli altri nella loro realtà, nei loro bisogni.
Domenica scorsa, guardando all’impegnativo cammino indicato da Gesù, i discepoli gli avevano chiesto di aumentare la loro fede. La risposta ottenuta è stata che questa è un dono del Padre che si può solo accogliere. Quando questo accade e coscienziosamente si accetta tutte le sue conseguenze, nulla è impossibile.
Poi aveva chiesto di non comprendere Dio come un ragioniere intento a computare i “meriti”. Gesù non intende sottovalutare le opere buone, non disprezza il lavoro dell’uomo né assume un atteggiamento di supponenza nei confronti di chi si impegna a compiere il bene. Cerca piuttosto di liberare i discepoli da una forma di orgoglio pericoloso per loro e per gli altri: l’autocompiacimento.
Oggi di fatto si prosegue in questa riflessione anche se la prima reazione potrebbe far comprendere l’Evangelo di oggi come un invito ad imparare le buone maniere, a dire grazie, a non tenere egoisticamente solo per se stessi la gioia se ci capita qualcosa di gradito. Importanti sono i verbi usati da Luca che di seguito si evidenziano con il grassetto.
Lo si sa: all’epoca i poveri, i ciechi, coloro che erano senza figli e in particolare i lebbrosi erano considerati dei morti viventi colpiti per i loro peccati. Questi ultimi erano costretti a vivere lontano dalle città e si sentivano rifiutati da tutti, Dio compreso. Quando sentono che Gesù sta entrando nel loro villaggio gli vanno incontro in dieci, numero che indica la totalità, quindi rappresentano l’intera umanità; non per nulla tra di loro c’è anche un samaritano. La malattia, le difficoltà riescono a mettere assieme persone che in una situazione normale si odierebbero o almeno si disprezzerebbero dandosi le spalle. Qui invece assieme chiedono non di essere guariti, ma di essere “visti” come persone degne di ricevere compassione e lo chiedono: “ad alta voce Gesù, maestro, abbi pietà di noi”. Non fanno a gara per essere guariti uno a scapito degli altri, vanno insieme alla ricerca di Gesù. La loro invocazione è comunitaria: “Gesù, maestro, tu che comprendi la nostra condizione, abbi pietà di noi”. Qui c’è un grande insegnamento, anzi la condanna senza appello di una spiritualità individualistica ed intimistica che cerca la propria salvezza personale che ancora oggi è dura a morire mentre la salvezza può essere raggiunta solo assieme ai fratelli. L’intera narrazione biblica lo mostra e narra con continuità nel rapporto tra gli uomini e il Signore. Nessun grande personaggio mai si tira fuori dal popolo o cerca di distinguersi da esso.
L’Evangelo sottolinea poi che “si fermarono a distanza”. È una distanza che a volte percepiamo pure noi e non riusciamo a capire se ci guarda o meno, se riusciamo a fargli giungere la nostra voce o no, le nostre preoccupazioni, i nostri desideri. Insistono a dirci che si deve pregare per la pace, ma questa pare allontanarsi, non avvicinarsi.
Gesù questa volta non fa il miracolo, non si prende nemmeno cura delle loro piaghe, non li guarisce ma li invita ad andare a presentarsi ai sacerdoti senza aggiungere altro e “mentre andavano, furono purificati” (non “guariti”!). C’è un cammino da fare per guarire dai propri peccati: la lebbra era infatti considerata la punizione di Dio soprattutto per gli invidiosi, gli arroganti, i ladri, gli omicidi, chi si era macchiato di falsi giuramenti e di incesto. Già l’essere costretti a vivere assieme in disparte poteva aver fatto correggere la loro condotta precedente ma era necessario che se ne rendessero conto, per questo c’è un “cammino” da fare ed è nel farlo che se lo comprendono. Tutto sommato pensando al nostro sacramento della Riconciliazione (non della “confessione”, i cristiani confessano solo una cosa: che “Gesù il Cristo è il loro Signore” e basta) c’è un cammino che si è fatto. L’essersi accorti di aver deviato dalla sequela, l’averne preso coscienza porta ad un cammino di conversione per, riconciliandosi, poter nuovamente seguire il Signore assieme i fratelli, salvati dalle nostre “malattie”. Alcune perversioni non le definiamo forse come delle “malattie”, per esempio l’ingordigia, l’alterigia, l’invidia, l’arroganza, l’egoismo …?
Quando il samaritano “lodando Dio a gran voce” torna a ringraziarlo, Gesù non si rammarica tanto della mancata riconoscenza degli altri, quando gli interessa evidenziare che questo era un samaritano, uno considerato un nemico, un eretico, un miscredente. Spesso abbiamo molto da imparare da queste persone se riusciamo a “vederle” nella loro umanità.
(BiGio)
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