XXV Domenica PA - Lc 16,1-13

La domanda che Gesù pone nella parabola dell'amministratore disonesto è se i credenti, i suoi discepoli, saprebbero agire con la stessa prontezza nell’adesione alla sequela che, come si è visto nelle domeniche precedenti, è una spada a doppio taglio: penetra fino al midollo delle ossa e costringe a scegliere spesso rapidamente.

 


Si riprende oggi il cammino proposto dall’Evangelo di Luca dopo la Festa dell’Esaltazione di quello spartiacque che è la Croce alla quale elevare e fissare lo sguardo sul volto di Gesù nel quale vedere l’amore infinito del Padre per l’umanità che ci dona la salvezza e la vita eterna. Questa non è un premio futuro post-mortem ma una condizione, una qualità di vita già nel nostro oggi perché credere in Gesù il Crocifisso è aderire alla sua persona, è tendere a poter dire a dire con Paolo “non sono più io che vivo ma è Cristo che vive in me” (Gal 2,20). Vivere cioè della sua stessa vita, con la pienezza umana risplendente in Gesù che trova la sua fonte nel suo essere il Figlio amato del Padre sceso dal cielo per mostrarci quale sia il volto di Dio. Un volto di amore, di misericordia; un amore gratuito, incondizionato che chiede di essere diffuso per poter manifestare le sue energie in chi vi fa spazio accogliendolo nella fede come dovremmo saper fare noi e le nostre Comunità.

 

Oggi torna al centro la vita dei discepoli. Il terzo vangelo, è molto attento alle problematiche del quotidiano e presta molta attenzione all’uso dei beni e del denaro. È cosciente come quest’ultimo e la ricchezza possano ostacolare l’accoglienza della chiamata del Signore (Lc 18,18-23) e possano così far pensare di essere padroni della nostra vita nonostante i limiti dati dalla sua caducità, rendendola spesso precaria (Lc 12,16-21). Generano poi con facilità indifferenza verso chi è povero e bisognoso (Lc 16,19-31). Insomma, il denaro e la ricchezza possono pervertire il cuore dell’uomo.

Lo si comprende dall’incipit della pericope odierna nella quale Gesù rivolgendosi ai suoi discepoli racconta una parabola al cui centro sta un amministratore disonesto la cui scaltrezza e velocità di decisione lo pone ad esempio. Di fronte alla difficoltà dell’essere stato scoperto e licenziato in tronco, non perde tempo in lamenti che comprende e sa inutili, non si perde d’animo, reagisce, accetta la realtà facendo i conti con i suoi limiti che conosce bene e decide su come procedere. 

La domanda che si pone è quella che risuona spesso anche nella nostra vita: “e adesso che cosa faccio? Che cosa devo fare?”. È un interrogativo che risuona molto e si può dire attraversa l’intera Scrittura. Solo per fare tre esempi: questo quesito lo pongono le folle al Battista, il ricco agricoltore che non sa dove riporre il suo raccolto, lo si pongono coloro che hanno ascoltato Pietro il giorno di Pentecoste, ce lo poniamo tutti quando ci si trova davanti ad una scelta di vita in particolar modo se decisiva.

L’amministratore disonesto capisce e decide che cosa deve fare. Certo, il suo agire si colloca all’interno dei criteri di questo mondo ma la domanda che Gesù pone è se i credenti, i suoi discepoli, saprebbero agire con la stessa prontezza nell’adesione alla sequela che, come si è visto nelle domeniche precedenti, è una spada a doppio taglio: penetra fino al midollo delle ossa e costringe a scegliere spesso rapidamente.

Gesù è coerente con la sua proposta di adesione al Regno di Dio che pone al centro del cuore dell’uomo il bisogno dell’altro e non il proprio egoistico interesse. In altre parole evidenza con decisione l’alternativa che esiste tra Dio e Mammona, tra un mondo solidale ricco della misericordia di Dio offerta a tutti attraverso coloro che pongono in lui la propria fiducia, facendo proprio il suo volto conosciuto in quello del Cristo e quello della “ricchezza” come viene tradotta nel brano dell’Evangelo di oggi, ma che nella nostra mente risuona come Mammona. Questo termine ha come radice “aman”, normalmente da noi pronunciato “amen” che significa “così sia”; è l’affermazione che così è, che si crede in quello che si è affermato, che si pone fiducia in questo. Mammona, la ricchezza, si configurano così come una precisa alternativa alla fiducia in Dio: è l’idolo per eccellenza che inebria, possiede, spinge all’ingiustizia.

Non si può qui non ricordare altri detti di Gesù incontrati nelle domeniche precedenti, chi “accumula tesori per sé e non arricchisce davanti a Dio” (Lc 12,21) e la sua esortazione “Vendete ciò che possedete e datelo in elemosina; fatevi borse che non invecchiano, un tesoro sicuro nei cieli, dove ladro non arriva e tarlo non consuma” (Lc 12,33); da tener presente anche la morale della parabola dell’agricoltore dal ricco raccolto: “Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato, di chi sarà?” (Lc 12,20).

Gesù però non condanna i beni di questo mondo, quello che vuol farci capire è che l’unico modo scaltro di utilizzare i beni di questo mondo è servirsene per aiutare gli altri, acquisendo così la “vera ricchezza”, quella che non arrugginisce e non teme la tignola.

(BiGio)

 

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