Regime change, 25 anni di lezioni della storia

I casi di Afghanistan, Iraq e Libia mostrano come il cambio di regime imposto attraverso azioni militari straniere non abbia prodotto i risultati inizialmente sperati


11 settembre 2001. Con l’attentato jihadista alle Torri Gemelle di New York la storia dell’umanità subisce un’accelerazione prima impensabile. L’Occidente improvvisamente si scopre nudo, e il mondo un po’ più “piatto”, come scriverà qualche anno dopo Thomas L. Friedman. Muri e grattacieli, nonostante la loro imponente fisicità, non sono più ostacoli al male, da una parte all’altra del globo. Da quel momento le dottrine militari pompano un concetto, poi entrato nell’uso comune del linguaggio politico, e che proprio in questi giorni, nonostante la tregua raggiunta nel conflitto che contrappone Israele, Iran e Stati Uniti, si sta imponendo con prepotenza all’attenzione mediatica: il regime change. Ipotesi, quest’ultima, che Benjamin Netanyahu ha ventilato proprio come esito della guerra contro Teheran, per ribaltare un ordine – anche in quel caso derivato… da un cambio di regime – che si regge dal 1979 (e ridisegnare, di fatto, la mappa del Medio Oriente)...

La riflessione di Roberto Paglialonga è a questo link:

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