Lc 12,13-21 – XVIII Domenica PA

La parabola non verte sull’opposizione tra beni terrestri illusori e beni che durano per “l’eternità”, né polemizza contro la ricerca di un tesoro. La questione che pone è il “per chi” sì costituisce un tesoro

 


L’itinerario delle ultime domeniche hanno portato a riflette sull’equilibrio che va trovato tra l’attenzione all’altro  il suo bisogno e l’ascolto della Parola, tra l’esasperazione di Marta che centra tutto su di se stessa e l’attenzione di Maria per poter essere davvero alla sequela del Signore, tra l’attivismo che ci fa diventare “signori/padroni” senza quell’ascolto della reale volontà del Padre che rende “servi” della sua Parola e non facitori di servizi con il pericolo che questi non abbiano ne capo ne coda.

Domenica scorsa, nel trasmettere la sua preghiera, Gesù aveva sottolineato come sia importante chiedere che ogni giorno ci sia dato il pane che ci è necessario. Non solo quello per sfamarci, ma anche quello che ci è di nutrimento spirituale: la sua Parola. L’accento cade su quel “ogni giorno quello che basta”. È un chiaro invito ad una sobrietà nella vita e nel possesso dei beni necessari, nel non accaparrarsi e accumulare quello che è a disposizione di tutti per essere condiviso.

L’Evangelo di Luca pone particolare attenzione a tutte le tematiche di rilevanza sociale come il lavoro, il possesso di beni, il rapporto con il denaro, e ci racconta che mentre Gesù sta parlando di fiducia nel Padre viene interrotto da chi invece la fiducia la pone nel denaro. Gesù parla di sicurezza in Dio e c’è chi invece la sicurezza la pone nei suoi beni: due fratelli in lite per una questione di eredità quello che dovrebbe essere diviso in realtà è quello che divide.

Come Marta anche questo tale nei confronti del Maestro usa l’imperativo “dì a mio fratello che divida con me l’eredità”. La richiesta a Gesù è pertinente e, nella prassi, era facoltà di ogni Rabbi ottemperare a queste richieste. Sarebbe bastato far riferimento alle norme stabilite in Dt 21,15-17 e in Nm 27,1-11. 

Questa sarebbe, probabilmente, la soluzione che tutti si aspettavano: la più logica e la più saggia, ma presenta un serio inconveniente: non elimina la causa da cui nascono tutte le discordie, gli odi, le ingiustizie. Invece di risolvere il singolo caso, come aveva fatto tra Marta e Maria, Gesù sceglie di andare alla radice del problema. “Attenti, – dice a tutti – tenetevi lontano da ogni cupidigia, perché anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende dai suoi beni” (v.15) e qui racconta la nota parabola dell’agricoltore che si impegna, è previdente, ottiene ottimi risultati, è anche fortunato. Non si è arricchito commettendo ingiustizie e furti quindi è anche onesto. Raggiunto il benessere decide di ritirarsi per un meritato riposo: non progetta bagordi e dissolutezze, desidera solo una vita tranquilla. Dove sbaglia l’agricoltore? Come mai viene chiamato pazzo? Il termine usato da Luca è molto più forte: più che “pazzo” significa “scemo”.

Il fatto è che vive in mezzo alla gente, ma non la vede, nel suo monologo usa cinquantanove parole, di esse ben quattordici sono riferite a “io” e “mio”: esistono solo lui e i suoi beni. Il giudizio di Dio è pesante: chi vive per accumulare beni è uno scemo! L’insensatezza, l’ottundimento provocati dal denaro sono facilmente rilevabili nel fatto che, proprio in presenza della morte (la divisione di un’eredità ha luogo dopo un decesso), la cupidigia fa rimuovere il pensiero della morte. Gesù non ha mai disprezzato i beni di questo mondo, ma ha messo in guardia dal pericolo di divenirne schiavi.

La parabola non verte sull’opposizione tra beni terrestri illusori e beni che durano per “l’eternità”, né polemizza contro la ricerca di un tesoro. La questione che pone è il “per chi” sì costituisce un tesoro: “Questa stessa notte verranno richiedere la tua vita, per chi sarà allora ciò che hai preparato?”.

Il plurale “verranno” corrisponde a un “qualcuno” di imprecisato. Gesù non può alludere a Dio, come potrebbe far pensare la forma passiva utilizzata dalla traduzione CEI (“ti sarà richiesta la tua vita”) e come forse pensiamo noi nella logica di un Dio spia, sempre pronto a farci pagare il male e gli errori che commettiamo. Dio non interrompe mai brutalmente e cinicamente la vita di nessun uomo; no, semplicemente questa è giunta al suo termine. 

Il tema allora è cosa significhi l’invito ad essere ricco per Dio. “Dove è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore” dirà Gesù più avanti, invitando a spostare il proprio cuore, il proprio baricentro: dai forzieri dove i soldi si accumulano e arrugginiscono, all’attenzione agli altri uomini, in particolare ai sofferenti, facendosi attenti ai loro bisogni anche inespressi e allora, non i soldi, ma la propria realtà sarà posta in Dio. Così si diventa “ricchi per Dio” e si scopre che, in fin dei conti, il tesoro inesauribile è Dio stesso.

(BiGio)

 

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