Nel cammino che la Liturgia ci fa fare per comprendere chi in concreto sia e debba essere coloro che pongono la loro fiducia in Gesù e seguendolo cercare, come afferma Paolo, di riuscire a far in modo che sia Cristo che vive in noi (Gal 2,20), siamo stati prima di tutto invitati a farsi prossimo a chi in qualsiasi modo soffra o si trovi in difficoltà. La parabola del Samaritano propone di leggere la realtà con gli occhi di chi sta vivendo una esperienza traumatica fino ad essere spogliato di tutto, anche della sua personalità e dignità umana venendogli incontro sorreggendolo.
Poi nel racconto dell’ospitalità data a Gesù da Marta e Maria l’accento si è spostato chiedendo di fare attenzione che il servizio non diventi totalizzante: non è sufficiente fare dei servizi è necessario diventare servi e questo può accadere solo se si ascolta il Signore nella sua volontà di amore. I discepoli lo comprendono, chiedono di essere iniziati in merito ed è questo il senso della richiesta che fanno: “insegnaci a pregare” perché quest’ultima è innanzitutto “ascolto”.
Luca insiste molto su questo tema; per ben sette volte nel suo Evangelo ci mostra Gesù che prega e ci riporta 5 di queste sue preghiere per dirci che l’intera sua vita si è svolta sotto l’ascolto del Padre mediante la preghiera nella quale non chiedeva favori personali o sconti nelle difficoltà della vita, ma di fargli capire qual era la sua volontà, per poterla far sua e compierla. Gesù è cosciente che non è una cosa facile e non lo è stato nemmeno per lui tanto che sulla croce con le parole del Salmo 22 grida “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”. Nella Scrittura il dialogo con Dio altre volte ha assunto toni drammatici, tramutandosi in discussione, in disputa aperta. Uno di questi vertici è quando Geremia gli rivolge un’accusa quasi blasfema: “Tu sei divenuto per me un torrente infido, dalle acque incostanti” (Ger 15,18).
Anche se nella nostra esperienza ci pare che le nostre preghiere rimangano inevase, nell’ultima parte dell’Evangelo di oggi Gesù insiste nel dirci che la preghiera è sempre esaudita e lo fa con una parabola costruita attorno a tre verbi: chiedere, cercare, bussare. Insistere sì ma senza coltivare false speranze: la realtà non si modificherà, le nostre difficoltà non saranno dissolveranno in un batter di ciglia, le ferite del corpo e dell’anima continueranno a sanguinare e la malattia non ci lascerà. Cosa accade allora con la preghiera se questa non modificherà nulla di quel concreto che chiediamo?
Noi vorremmo che egli si adeguasse alle nostre idee, le nostre preghiere sembrano essere tentativi di convincere Dio a cambiare qualcosa di noi, in noi, per noi, a nostro favore. Leggiamo la realtà che ci turba come un suo progetto sbagliato ma se parliamo lungamente con lui, finiremo per capire e accettare i suoi disegni che scopriremo essere comunque ricchi d’amore per noi, scopriremo la sua vicinanza, la sua forza che ci sostiene in quelle difficoltà che lamentiamo ma che dobbiamo risolvere con le nostre forze, le nostre capacità, con i doni che abbiamo, che ci ha dato. Bisogna renderci conto che nulla vi è di superiore a questi. La preghiera non cambia Dio, apre la nostra mente, modifica il nostro cuore, ci aiuta ad arrivare a vedere con i suoi occhi gli avvenimenti della nostra vita.
(BiGio)
Nessun commento:
Posta un commento