Quello che denuncia Gesù nella così detta "Purificazione del Tempio" va oltre la semplice prima lettura del testo: denuncia la riduzione del rapporto con Dio a un evento mercantile: quanto di questo è rimasto e permane nelle nostre prassi ecclesiali?
Se il "tempio" di Dio oggi è l'uomo, quanto mercanteggiamo sui corpi a partire dalla differenza di genere per giungere ai luoghi di lavoro diventano altari nei quali vengono sacrificate delle vite ...
A differenza dei Sinottici Giovanni pone all’inizio del ministero di Gesù l’episodio della “purificazione” del Tempio, nella prima delle tre Pasque che lo vedrà a Gerusalemme.
Dio aveva posto la sua “presenza” nel Tempio e per questo era il luogo di incontro tra il Signore e il suo popolo. Seguendo le indicazioni in particolare del Levitico, il culto si concretizzava essenzialmente nei sacrifici che accompagnavano i momenti più diversi della vita dell’uomo esprimendone gli stati d’animo più vari: dalla consapevolezza di peccato al ringraziamento, all’espressione spontanea di religiosità. Abbandonati i sacrifici umani, al primo posto c’erano gli “olocausti” la cui vittima animale veniva integralmente bruciata. Poi c’erano i sacrifici di “comunione”, di “lode”, di “confessione”, di “oblazione” e, infine, due tipi di “espiazione”. Attraverso i sacrifici compiuti nello spirito del codice del Levitico, qualcosa del donatore o dell’offerente entrava nella sfera divina: un messaggio di amore, di ringraziamento, una domanda, un’implorazione.
Si deve riconoscere che, a parte i sacrifici animali, molto di questo è rimasto anche nella prassi religiosa cristiana: dalle offerte in suffragio dei morti, alle candeline davanti a statue o quadri di Santi e Madonne; dalle offerte per celebrazioni o benedizioni, a tante pratiche di digiuno, astinenza, preghiere; amuleti e immagini sacre acquistate sui banchi dei santuari, delle chiese e altro ancora.
Quel mercanteggiare nei cortili del Tempio di Gerusalemme era tollerato per agevolare le masse che a Pasqua venivano anche da molto lontano (si calcolano anche 120.000 pellegrini su una popolazione di 40.000 abitanti) e non potevano certo portarsi dietro da casa quanto serviva per l’olocausto. L’offerta in denaro poi non poteva avere immagini dei potenti dell’epoca e, quindi, dovevano essere cambiate con quelle abilitate ed accettate all’interno del Tempio per non contaminarlo.
Già ripetutamente i profeti avevano contestato quel tipo di culto definendolo una trappola perché fa pensare di essere a posto avendo fatto delle belle liturgie: quello che Dio vuole, dicevano con forza, è la giustizia. Questo, gli ebrei già lo sapevano, non c’era bisogno che Gesù facesse quell’azione violenta. Quello che denuncia Gesù va oltre: denuncia la riduzione del rapporto con Dio a un evento mercantile perché i suoi favori sono completamente gratuiti, non possono essere comprati, non si può dargli nulla e nemmeno far entrare qualcosa di noi nella sua sfera divina come si pensava.
Se il salmo 27 pone sulle nostre labbra la ricerca del volto di Dio e il salmo 84, con tutti quelli di pellegrinaggio e dell’ascensione a Gerusalemme, ci fa anelare ad abitare gli atri del Tempio, il luogo della Presenza del Padre, Gesù con quella sua azione desidera affermare che il “volto di Dio” non va più cercato nel Tempio perché è lui quel Volto al quale aneliamo, è in Lui che noi incontriamo il Padre del cielo. Il senso di quel “distruggere il tempio” è quello di lasciarlo perdere perché ha terminato la sua funzione. Con l’Incarnazione l’immagine del Volto di Dio ora è in ogni essere umano perché Dio, in Gesù, si è fatto uomo.
Se il Tempio di pietre non doveva essere trasformato in un mercato, tanto meno i nostri corpi lo devono essere e la Comunità cristiana dovrebbe essere impegnata a denunciare tutte quelle situazioni nelle quali l’umanità è mercanteggiata, profanata a partire dai rapporti di genere per giungere ai luoghi di lavoro che a giorni alterni diventano altari nei quali vengono sacrificate delle vite. Senza contare le guerre con tutti i loro morti.
La pericope di oggi si chiude con l’annotazione che i discepoli, dopo che fu risuscitato, “si ricordarono” di quanto aveva detto “e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù”. È una sottolineatura che ha una indicazione precisa per noi sull’importanza del ricordare, del fare memoria di eventi e di parole della nostra storia ponendole alla verifica della Scrittura e dell’Evangelo. Troppo spesso invece ci si ferma solo al presente senza alzare lo sguardo e cercare di riannodare i fili del cammino fatto, non ci si sforza di vedere il contesto complessivo di quanto accade. Si rimane così accecati dai fatti perdendo ogni capacità di lettura alla luce di ciò che dovrebbe sempre guidarci nel giudicare: la Scrittura. Si corre così il pericolo di diventare inaffidabili e di scambiare lucciole per lanterne subendo un accecamento che impedisce il discernimento e il perseguire l’unico sacrificio che il Padre chiede e accoglie: le opere di amore, il servizio generoso prestato all’uomo, specialmente al più povero, all’ammalato, all’emarginato, a colui che ha fame, a chi è nudo. Chi si china davanti al fratello per servirlo senza guardare la sua appartenenza, senza esclusivismi di ogni tipo e genere.
(BiGio)
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Perché ed origine di questa festa
L’imperatore Costantino, dopo aver dato piena libertà ai cristiani, fece costruire sul monte Celio a Roma, sul luogo dell’antico palazzo Laterano, una magnifica basilica che papa Silvestro I dedicò al SS. Salvatore (318 o 324).
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