La mattina del 25 aprile 1911, Emilio Salgari uscì dalla sua casa di Torino, prese il tram come ogni giorno e si diresse verso le collin della Val San Martino. Con sé non portava la penna, l’inseparabile strumento che per trent’anni aveva dato vita a mondi sconfinati, ma un rasoio.
In un burrone, lontano dagli occhi del mondo, pose fine a un’esistenza che era diventata l’antitesi esatta delle avventure gloriose che narrava. Lasciò tre lettere, tre testamenti che racchiudono il paradosso tragico della sua vita. La prima, indirizzata ai suoi editori. La seconda ai suoi quattro figli, la terza ...
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