Il guaio è che normalmente ci si sofferma solo su quello che abbiamo sotto gli occhi e raramente alziamo lo sguardo pensando che la situazione odierna è uguale così da sempre. Questo vale per ogni aspetto, pensiero, contesto internazionale. Si guarda il dito invece della luna che indica.
Questo vale anche per la situazione politica e strategica del Medioriente: Israele e l'Iran da sempre nemiche? Nient'affatto: quarant’anni fa si può dire che la situazione era esattamente l’opposto dell’attuale. Allora l’Egitto era il paese più antiamericano dell’area; Iran e Arabia Saudita andavano a braccetto contendendosi i favori degli Usa; i Palestinesi avevano una leadership laica refrattaria ai richiami dell’Islam. La Persia, l’attuale Iran, era sotto la dinastia monarchica assoluta dei Pahlavi; le comunità della diaspora ebraica vi vivevano senza grandi problemi.
Quando nel 1948 l’Onu decise la divisione della Palestina, Reza Pahlavi ammonì che avrebbe portato a un conflitto per molte generazioni. Però nel 1950 Reza Pahlavi riconobbe lo Stato d’Israele, con cui mantenne rapporti di collaborazione fino alla fine del suo regno consolidando interessi comuni. Tra questi l’avere, assieme all’Arabia Saudita, i medesimi “nemici” e l’adesione all’alleanza occidentale all’interno del sistema anti URSS. Quest’ultima, invece, aveva il totale appoggio dell’Egitto sotto l'assolutamente laica presidenza Nasser ideatore e sostenitore del nazionalismo panarabo; a questo aggiungeva un’ideologia socialista e le pulsioni islamiste erano tenute sotto controllo e quasi non influivano. Appoggiava i palestinesi ma perse la “Guerra dei 6 Giorni” e cadde in disgrazia.
Nel 1969 i palestinesi trovarono unità nell’OLP e si dettero un nuovo leader: Yasser Arafat ideologicamente vicino agli ideali laici di Nasser.
La situazione in Persia però si deteriora rapidamente per una serie di fattori: autoritarismo e repressione, corruzione e disuguaglianze sociali che si accentuano e trovano la loro causa nel fallimento della rapida modernizzazione imposta. Reza Pahlavi fu costretto a lasciare il potere in favore dell’Ayatollah Khomeini che taglia immediatamente ogni rapporto con Israele: la tolleranza e convivenza con gli ebrei cessa di colpo. Inizia a far pressione su Arafat perché definisca la sua organizzazione come un movimento di «resistenza islamica». Un’etichetta impossibile vista la storia e l’ideologia dell’Olp, la cui base militante non era affatto religiosa. Gli ayatollah, facendo perno sui Fratelli Mussulmani installati tra i palestinesi profughi nel sud del Libano, prendono la mano e, in Gaza favoriscono la nascita del movimento di Hamas che, nel 2007, sulla base delle elezioni vinte grazie anche ai finanziamenti esteri che permisero una importante azione sociale, prende il potere con la forza.
Si capovolge così l'insieme di alleanze esistente fino agli anni 70/80 e ci si ritrova in quella attuale. In seguito Israele agisce per dividere sempre più i Governi di Gaza e Cisgiordania operando con forme colonialiste in questo territorio sottraendolo alla possibilità di uno stato palestinese autonomo. Con gli “Accordi di Abramo” (2020) inizia un’altra complessa storia che accentua "l'indifferenza" degli Stati arabi sulla situazione dei palestinesi.
(BiGio)
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