La Pentecoste, il dono del "suggeritore" agli uomini, ci dice anche quale sia il bisogno di Dio
Chiamati ad essere testimoni di una prossimità diversa ma universale, ad essere quella presenza reale dell’amore del Padre con il Figlio che hanno preso dimora, messo la loro tenda non più solo “presso” di noi, bensì “dentro di noi”, è stato il messaggio della festa dell’Assunzione che ci proiettava verso quella di oggi: la Pentecoste, il dono dello Spirito Paraclito che dove irrompe rende possibile ogni cosa.
L’Evangelo di oggi nella sua sostanza è già risuonato due domeniche fa e si è cercato di tracciarne alcuni elementi essenziali (https://parrocchiarisurrezione.blogspot.com/2025/05/vi-domenica-di-pasqua-gv-14-23-29.html). Oggi la Liturgia ci chiama a fare qualche passo ulteriore.
Non può sfuggire come Gesù prometta ai discepoli che il Padre “darà un altro Paraclito perché rimanga con voi”; quindi significa che prima dello Spirito Santo ce n’è stato un altro: quale? chi? ci è forse sfuggito qualcosa?
Innanzitutto è necessaria una precisazione. Il termine Paraclito significa, alla lettera, "colui che sta vicino”; in latino si traduce con la parola "advocatus" ma, anticamente l’avvocato non era colui che difendeva l'imputato, perché in tribunale era l'imputato che parlava e l'avvocato faceva la parte del suggeritore. Se ripercorriamo il cammino che quest’anno la Liturgia ci ha suggerito, ci dovrebbe essere semplice comprendere come colui che fino a quel momento ha affianco gli uomini suggerendo loro cosa e come fare, invitandoli a imitarlo nel trasmettere a tutti l’amore del Padre, questa figura è quella di Gesù. È lui il primo Paraclito che ha preso dimora tra di noi nell’incarnazione.
Allora la promessa di Gesù di un “altro Paraclito” che rimarrà per sempre al nostro fianco diventa più chiara e si colloca nella continuità del modo di essere e di fare del Risorto. Tutto questo ci dice che lo Spirito non parla al nostro posto ma ci suggerisce. Non decide per noi ma ci consiglia cosa e come decidere; non fa le cose per noi, ma ci propone cosa fare; non perdona al nostro posto, ma ci insegna come perdonare e come guarire dalle ferite subite; non ci risolve i conflitti ma ci educa a gestirli bene; non cancella i lati oscuri del nostro passato ma ci insegna a trovarne il senso e a sfruttarli sempre di più nel presente, nell'oggi.
In ogni caso come Giovanni nella sua prima lettera ci ha ricordato, Gesù rimane il nostro “Paraclito” ma “presso il Padre” (1Gv 2,1), non per difenderci dall’ira di Dio come purtroppo ancora oggi si sente dire (il Padre infatti non è mai contro di noi sta sempre dalla nostra parte), ma perché ci protegge dal nostro accusatore, dal nostro avversario: Gesù sa come ridurlo all’impotenza. Quando ci promette “un altro paraclito”, questo non ha il compito di sostituirlo, ma di portare a compimento la sua stessa missione venendo in soccorso dei discepoli nel loro essere nel mondo, nelle difficoltà che questo comporta (Gv 16,7-11).
Gesù ci ha assicurato che “Lo Spirito santo che il Padre manderà, vi (ci) insegnerà ogni cosa e vi (ci) ricorderà tutto ciò che io vi ho detto”. Dobbiamo allora ricordare che l’iniziativa appartiene sempre e solo a Dio: nell’amore, nel prendere dimora, nel dono dello Spirito. La realizzazione di questa promessa è legata al fatto che il discepolo accolga il dono di Dio con la disponibilità suscitata dall’amore, la gioia di chi riconosce in sé la presenza della vita, la pace che toglie il timore. Questo è il senso di quei “se” che Gesù pronuncia uni dopo l’altro: “Se uno mi ama, osserverà la mia parola” (14,23), “Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore” (15,10), “Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi” (15,7).
L’essere “paraclito” di Gesù, colui che è venuto in soccorso tra gli uomini nell’incarnazione è stata una funzione temporanea, legata alla sua vita terrena mentre l’invio di quello promesso che oggi celebriamo è avvenuto affinché “rimanga per sempre”. Presenza che non è legata a momenti di bisogno, necessità, sofferenza nella Comunità, ma è una presenza costante nella Comunità che lui “guida” (Gv16,13).
Spesso non ci è facile percepirne l’azione dello Spirito mentre agisce, però possiamo verificarne gli effetti, i frutti della sua azione, dell’agire del Padre con il Figlio nell’amore che per sua natura come noi stessi sperimentiamo non tende alla solitudine, ma alla comunione. Ciascuno di noi cerca e chiede; è una presenza che ascolta e chiama. Gli uomini sono frammenti che si cercano per ricomporsi in unità, la vita non può essere un vissuto solitario; è rapporto, amicizia, amore; è accettarsi nella dimensione incompleta di uomo o di donna che ha bisogno dell'altro, del vivere, dell’essere, del ritrovarsi in una Comunità nonostante le sue difficoltà. Lo Spirito ci dice che questo è anche il bisogno di Dio.
(BiGio)
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