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XXXIV Domenica TO - Cristo Re - Lc 25,35-43

L'altro malfattore non rifiuta ma accetta e si fa carico del male che ha fatto accettandone le conseguenze. Questo gli consente di fare una “correzione fraterna” all’altro sventurato condannato alla medesima pena senza alcuna presunzione, quassi discretamente compiendo anche un atto di fede rimandando e rimettendo nelle mani di Gesù ogni cosa al quale si rivolge sommessamente non chiedendogli nulla per se stesso, se non l’essere da lui ricordato. Sorprendente la risposta avuta ...

 

L’ultima domenica dell’anno liturgico celebra Cristo quale Signore e re dell’universo che si propone di essere da una parte la sintesi del cammino di conoscenza e di sequela propostoci attraverso l’Evangelo di Luca, dall’altra il lancio del nuovo anno liturgico che inizierà la prossima settimana con la prima domenica di Avvento. 

La scorsa domenica Gesù invitava nell’attesa del suo ritorno a non essere creduloni, a non farsi ingannare, a non farsi prendere dallo spavento ma ad imparare a discernere, perseverare, ad alzare lo sguardo perché il Regno del Padre in ogni caso avanza nonostante tutto possa far apparire il contrario. Quindi l’invito a non ripiegare sconfortati in se sessi, ma sempre ad osare a pensare il futuro, a gettare lo sguardo oltre, a fare, a costruire positivamente perché questo sta nelle nostre mani.

Nell’Evangelo di Giovanni il trono di gloria del Cristo è la sua croce, da quella estende il suo Spirito sull’universo mentre nell’annata C la sua regalità è espressa dall’episodio detto del “buon ladrone”, tratto dal racconto della passione secondo Luca (Lc 23,35-43). In realtà questo evangelista non lo definisce così ma usa l’espressione “l’altro mal-fattore” ricordandoci così che anche quest’uomo ha fatto il male. Luca nella sua Passione ricorre più volte e sottolinea il fare o non fare il male, l’agire o il non agire ingiustamente a partire da Gesù che invoca il perdono del Padre perché coloro che lo stanno crocifiggendo “non sanno quello che fanno”. Ma anche l’altro mal-fattore ricorda all’altro crocifisso che la pena a cui essi sono sottoposti è commisurata a quanto hanno commesso: “riceviamo il degno [castigo] di ciò che abbiamo fatto” mentre Gesù “non ha fatto nulla di male”. Questo è un primo raccordo con l’invito dell’Evangelo di domenica scorsa poco più sopra ricordato: è necessario porre attenzione al nostro fare, al nostro agire imparando a discernere perseverando cosa sia giusto o meno fare e il metro di giudizio si è visto sta nel fare memoria della Scrittura, frequentandola costantemente perché in questa si trova la volontà del Padre vissuta da Gesù lungo tutta la sua vita.

Un secondo elemento sta nell’atteggiamento della folla. La nostra pericope al versetto 35 traduce che “il popolo stava a vedere”; in realtà il verbo usato è molto più ricco: “il popolo stava là e contemplava”. Non è allora uno stare a vedere distrattamente magari per curiosità: vedere, guardare, osservare non sono sinonimi e l’ultimo termine sfocia naturalmente in un atteggiamento di ricerca che coinvolge la persona interrogandola, la porta a cercare di comprendere quanto sta avvenendo e come la coinvolge. Tutto questo finisce in un versetto (il 48) non compreso nel brano di oggi nel quale quel verbo viene ripetuto ma con una traduzione più aderente al suo significato greco. Dopo che il centurione è esploso in quel “Veramente quest’uomo era un giusto”, Luca sottolinea che anche tutte le folle accorse sotto la croce “ripensando a quanto era accaduto se ne tornavano percuotendosi il petto”. Quell’osservare non è dunque passivo, ma sottolinea la capacità e la volontà di comprendere che porta al ravvedimento e al pentimento di fronte alla derisione subita da Gesù ritenuto uno che aveva cercato di usurpare il titolo dell’atteso Messia. Il non aver saputo salvare la propria vita ne era la dimostrazione.

L’istinto di conservazione insito nell’uomo porta spesso a sopraffare l’altro per sopravvivere ma Gesù aveva già avvertito che chi fa di se stesso un fine, il proprio fine, finisce di perdere se stesso (Lc 9,24). “Salvare la propria vita” è una tentazione proposta all’inizio (Lc 4,1-13) e alla fine della vita di Gesù ma a lui non interessa salvarsi da solo, desidera che tutti siano salvi e che nessuno vada perduto: per questo sacrifica la sua vita ottenendo ciò a cui aspirava ed era la volontà del Padre. È questa sua fedeltà che porta il popolo a ripensare e a comprendere ed è il sottolineare questo percorso che Luca desidera presentarci ed invita a far nostro come sintesi del cammino che ci ha fatto fare di conoscenza prima e di sequela poi.

Quanto viene poi sottolineato dall’episodio dell’altro malfattore è altrettanto importante come indicazioni per la nostra vita. Egli non rifiuta ma accetta e si fa carico del male che ha fatto accettandone le conseguenze. Questo gli consente di fare una “correzione fraterna” all’altro sventurato condannato alla medesima pena senza alcuna presunzione, quassi discretamente compiendo anche un atto di fede rimandando e rimettendo nelle mani di Gesù ogni cosa al quale si rivolge sommessamente non chiedendogli nulla per se stesso, se non l’essere da lui ricordato. È un atto gratuito di affidamento che guarda al futuro “quando entrerai nel tuo Regno”. La risposta di Gesù è sorprendente: “Oggi sarai con me nel paradiso”. Vale a dire che “essere in paradiso” altro non è che essere con Cristo e, questo, è già possibile nel nostro oggi. Ce lo ha ripetuto in ogni modo lungo tutto quest’anno.

(BiGio)

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