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XXXIII Domenica TO - Lc 21,5-19

Di fronte ad una realtà sconvolta e disastrata Gesù invita ad alzare lo sguardo e al posto di Dio parla del Padre, annuncia il potere civile sostituito dal Regno, nel personale familiare si fa spazio una comunità di ideali, non più legata dal valore del sangue.



Si sta avvicinando rapidamente la fine di questo anno liturgico e si ritorna a seguire l’Evangelo di Luca dopo tre feste che ci hanno portato aa approfondire la realtà di discepoli che siamo chiamati a vivere attraverso le Beatitudini poste come obiettivi da perseguire oggi nel nostro cammino verso la santità, cioè l’essere stati chiamati a conoscere il fine della volontà del Padre: che tutti abbiano “vita eterna” senza l’articolo determinativo “la” perché qui non si sta parlando di una vita che inizia dopo la morte, come un premio per la buona condotta tenuta nel nostro quotidiano. No Gesù afferma che chi pone la sua fiducia in lui e lo segue facendo quello che lui ha fatto, amando e donando la sua vita agli altri facendosi prossimo, vive una vita che è già “eterna”, non tanto per la durata indefinita ma per la qualità che è divina e quindi indistruttibile.

Domenica scorsa nella Festa della dedicazione della “madre” di tutte le chiese, la Basilica Lateranense, l’Evangelo ci ha portato a riflettere sul fatto che oramai il “tempio”, il “dove” Dio ha posto la sua dimora non è un manufatto dell’uomo per quanto possa essere prezioso, ma l’uomo. Quindi se non si deve far diventare il tempio un mercato, tanto meno i nostri corpi a volte mercanteggiati, altre volte profanati nei rapporti di genere fino a giungere ai luoghi di lavoro nei quali vengono sacrificati spesso dal non rispetto delle norme di sicurezza, senza contare le molte guerre in corso in questo nostro mondo.

Guardando a quanto ci accade attorno catastrofi, conflitti fino ad essere crimini contro l’umanità, terremoti, inondazioni, eventi atmosferici sempre più violenti e frequenti, possiamo rimanere turbati e chiederci come quegli ascoltatori di Gesù dell’Evangelo di oggi se questi siano i segni dell’apocalisse e che l’universo non ci sta crollando addosso. È nella cronaca di tutti i giorni chi sfrutta questi eventi per intimorirci, per farsi passare come dei novelli messia invitandoci a seguirli ma i loro obiettivi sono altri e riguardano i loro personali interessi, non quelli del bene comune.

Di fronte a questi giorni e a questi eventi Gesù conoscendo bene l’animo umano facile a cadere nella creduloneria frutto di superficialità, invita a non farsi ingannare, a non seguirli, a non farsi prendere dallo spavento. Il suo è un invito ad imparare a discernere e a perseverare come invita nell’ultimo versetto che orienta l’intera pericope. Non c’è qui nessuna esortazione a ripiegarsi su se stessi per attendere tempi migliori perché questi sono nelle nostre mani; è invece lo sprone a osare sempre a pensare il futuro, a gettare lo sguardo oltre, a costruire positivamente, ad “alzare lo guardo” con coraggio come invita il versetto 28 che, purtroppo, manca nel brano liturgico “perché la nostra liberazione è vicina”. Nonostante le apparenze contrarie il Regno di Dio continuerà ad avanzare ed il linguaggio apocalittico usato a Gesù serve per dire che il passaggio fra due epoche della storia, tra due “eoni” per usare il linguaggio paolino, è imminente e lo spartiacque sarà la sua morte e risurrezione. Il suo è e sarà sempre un annuncio di gioia e di speranza; è l’invito a ricordare che la volontà del Padre è che nessuno si perda e che tutti siano salvati come ci è stato assicurato nell’Evangelo di dominica scorsa nella festa di tutti i defunti (Gv 6,37-40).

Ci si potrebbe allora attendere un tempo di trionfi, applausi, approvazione di tutti verso l’annuncio che il Regno di Dio sta avanzando. No, l’azione del Padre non è al di fuori della realtà dell’uomo e la sua iniziativa intende rispettarne i tempi senza violentarla sovrapponendo la propria. Continueranno le persecuzioni, non c’è alcuna promessa da parte di Gesù che preserverà i discepoli da sventure e pericoli; avverte invece nel non cedere all’illusione di potersi difendere utilizzando le logiche e i metodi di questo mondo rispondendo al male con il male, alla violenza con la violenza anche solo quella verbale.

Di nuovo però questo non è un invito ad accettare passivamente tutto quanto avviene e ci capita addosso, ma di perseverare nella sua sequela con la forza dell’amore e del perdono che lui sosterrà. In questo modo “nemmeno un capello del nostro capo perirà” e si deve essere certi che quello che si sarà seminato, gli sforzi compiuti se forse non porteranno a vedere i frutti sperati c’è la certezza che in futuro porteranno frutti abbondanti.

Il seguirlo, ci avverte Gesù, potrebbe portarci ad essere odiati e traditi da tutti “perfino da genitori, dai fratelli, da parenti, da amici e uccideranno alcuni di voi” perché viviamo in un mondo dove la ricerca dell’esercizio di un potere assoluto coinvolge ogni sfera esistenziale: in quella della fede dall’istituzione religiosa, nel civile da chi ci governa e anche nella famiglia attraverso le differenze gi genere. Gesù invece al posto di Dio parla del Padre: se in nome di Dio si può togliere la vita a qualcuno, in nome del Padre si può soltanto dare la propria; il potere civile viene sostituito dal Regno che è già qui tra di noi ed avanza anche se non ce ne accorgiamo in quello spazio senza confini, senza muri, senza limiti dove tutti possono essere accolti. Nel personale familiare si fa spazio una comunità di ideali, non più legata dal valore del sangue, ma da un amore generoso che si mette al reciproco servizio degli altri.

(BiGio)

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