In queste domeniche piano piano l’attenzione si sposta sempre più sulle esigenze della sequela e il suo essenziale. Il messaggio delle due domeniche precedenti può essere sintetizzato dai detti “i primi saranno gli ultimi” e “chiunque si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato” con la richiesta di sovvertire le usanze dell’epoca invitando alla propria tavola non gli amici, i fratelli, i parenti e i ricchi vicini, ma i poveri, gli storpi, gli zoppi e i ciechi, cioè coloro che erano considerati puniti da Dio in quanto peccatori e, per questo, portatori di disabilità. Gesù chiede di comprendere c’è un qualcosa da accogliere e valorizzare in ogni persona, mettendoci in guardia da logiche di do ut des che corrompono i rapporti facendoli uscire dalla gratuità rendendoli meri rapporti di potere e complicità.
Oggi Luca ci precisa che Gesù sta andando verso Gerusalemme ed è seguito da tanta gente che lo segue pensando fosse il figlio di Davide che va a restaurare il regno di Israele; era questo uno dei 5 possibili Messia che attendevano allora gli israeliti. Dunque “Una folla numerosa andava con lui” e Gesù percependo l’equivoco “si voltò e disse loro…” iniziando con una sottile precisazione che va colta. “Se uno viene a me “– dice Gesù – non “se uno vuole venire dietro a me”. Questa seconda dizione è la strada del discepolo mentre la prima è solo di chi ne è attratto, forse prova anche simpatia ma facilmente ne “addomestica” il messaggio rendendolo più consono alle sue attese, alle sue aspettative, alle sue possibilità: è lui che detta le condizioni. Gesù allora detta le sue: chiare, inequivocabili e non trattabili. Sono immagini molto forti; non vuole che qualcuno si faccia delle illusioni.
Per seguirlo e non semplicemente per andare a lui, può essere necessario avere il coraggio di rompere anche i legami più cari quando diventano un impedimento alla sequela, rinunciando anche a scelte di compromesso. Questo significa quell’ “odiare suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo”; “odiare” e non quell’attenuazione della traduzione Cei “amare di più”: non è una questione di “quantità”. L’amore che viene chiesto, ad imitazione di quello di Gesù, non può avere dei limiti. Non è nemmeno una questione di “gelosia” da parte di Dio perché Lui considera come rivolto a sé tutto l’amore che è donato in qualsiasi modo e forma ad ogni uomo secondo le possibilità di ciascuno.
Poi afferma: “Chi non porta la propria croce e non viene dietro di me, non può essere mio discepolo”. Attenzione qui non c’è alcun invito a sopportare con rassegnazione le difficoltà della vita, le malattie, le ingiustizie; nessun invito al masochismo. Queste sono condizioni che umiliano, che tolgono qualcosa all’umanità, alla dignità delle persone: vanno sconfitte, superate: non subite passivamente. Quello a cui Gesù invita è ad essere disponibili a testimoniare la propria fede, la propria sequela fino in fondo sapendo che seguire il suo esempio capovolge i criteri di questo mondo e non possono non esserci delle conseguenze. Esserne coscienti e disponibili a subirle è importante fino a lasciarsi tutto alle spalle.
È questa la terza condizione che chiede: non mettere la propria sicurezza in quello che si ha ma in quello che si da gratuitamente, amando l’altro senza attendersi nulla in cambio. È il medesimo invito di domenica scorsa. Solo chi ama avendo come obiettivo la sola ricerca del bene del fratello, diviene simile al Padre che sta nei cieli e fa l’esperienza della sua stessa gioia.
Le tre condizioni della sequela hanno un fondo comune: le disponibilità richieste sono possibili solo a delle persone libere da ogni vincolo. Solo chi lo è ed è capace di queste scelte liberamente può realmente seguire il Signore.
Non basta essere usciti dall’Egitto per essere liberi perché si può essere rimasti legati ad una mentalità di schiavitù, alle pentole piene di carne e cipolle: c’è un cammino da fare ed è impegnativo. Su questa esigenza le due brevi parabole centrali porgono l’attenzione richiamando la serietà e l’impegno che comporta la sequela: gli slanci e l’entusiasmo iniziale possono far illudere di essere diventati discepoli. È necessario fare attenzione per non andare a sbattere violentemente: seve costanza e forza per perseverare e riuscire a portare a termine l’impegno assunto senza correre il pericolo di lasciare tutto a metà dell’opera intrapresa. Le tre condizioni non sono allora un banale terrorismo psicologico ma parole di prudenza, che invitano a fare bene i calcoli prima di iniziare un’impresa che si potrà rivelare superiore alle proprie forze. Essere coscienti dei propri limiti è la sola via che permette di accogliere come dono la sequela nella sua radicalità. Appare allora chiaro che questa non è opera dell’uomo ma di Dio che non ci lascia mai soli nelle difficoltà.
(BiGio)