Temi Caldi / Attualità

XXIII Domenica PA - Lc 14,25-33

 In queste domeniche piano piano l’attenzione si sposta sempre più sulle esigenze della sequela e Gesù pare fare del “terrorismo”. È invece il richiamo ad essere coscienti dei propri limiti: la sola via che permette di accoglierla come dono nella sua radicalità ed accorgerci che non è opera dell’uomo ma di Dio che non ci lascia mai soli nelle difficoltà.

In queste domeniche piano piano l’attenzione si sposta sempre più sulle esigenze della sequela e il suo essenziale. Il messaggio delle due domeniche precedenti può essere sintetizzato dai detti “i primi saranno gli ultimi” e “chiunque si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato” con la richiesta di sovvertire le usanze dell’epoca invitando alla propria tavola non gli amici, i fratelli, i parenti e i ricchi vicini, ma i poveri, gli storpi, gli zoppi e i ciechi, cioè coloro che erano considerati puniti da Dio in quanto peccatori e, per questo, portatori di disabilità. Gesù chiede di comprendere c’è un qualcosa da accogliere e valorizzare in ogni persona, mettendoci in guardia da logiche di do ut des che corrompono i rapporti facendoli uscire dalla gratuità rendendoli meri rapporti di potere e complicità.

 

Oggi Luca ci precisa che Gesù sta andando verso Gerusalemme ed è seguito da tanta gente che lo segue pensando fosse il figlio di Davide che va a restaurare il regno di Israele; era questo uno dei 5 possibili Messia che attendevano allora gli israeliti. Dunque “Una folla numerosa andava con lui” e Gesù percependo l’equivoco “si voltò e disse loro…” iniziando con una sottile precisazione che va colta. “Se uno viene a me “– dice Gesù – non “se uno vuole venire dietro a me”. Questa seconda dizione è la strada del discepolo mentre la prima è solo di chi ne è attratto, forse prova anche simpatia ma facilmente ne “addomestica” il messaggio rendendolo più consono alle sue attese, alle sue aspettative, alle sue possibilità: è lui che detta le condizioni. Gesù allora detta le sue: chiare, inequivocabili e non trattabili. Sono immagini molto forti; non vuole che qualcuno si faccia delle illusioni. 

Per seguirlo e non semplicemente per andare a lui, può essere necessario avere il coraggio di rompere anche i legami più cari quando diventano un impedimento alla sequela, rinunciando anche a scelte di compromesso. Questo significa quell’ “odiare suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo”; “odiare” e non quell’attenuazione della traduzione Cei “amare di più”: non è una questione di “quantità”. L’amore che viene chiesto, ad imitazione di quello di Gesù, non può avere dei limiti. Non è nemmeno una questione di “gelosia” da parte di Dio perché Lui considera come rivolto a sé tutto l’amore che è donato in qualsiasi modo e forma ad ogni uomo secondo le possibilità di ciascuno.

Poi afferma: “Chi non porta la propria croce e non viene dietro di me, non può essere mio discepolo”. Attenzione qui non c’è alcun invito a sopportare con rassegnazione le difficoltà della vita, le malattie, le ingiustizie; nessun invito al masochismo. Queste sono condizioni che umiliano, che tolgono qualcosa all’umanità, alla dignità delle persone: vanno sconfitte, superate: non subite passivamente. Quello a cui Gesù invita è ad essere disponibili a testimoniare la propria fede, la propria sequela fino in fondo sapendo che seguire il suo esempio capovolge i criteri di questo mondo e non possono non esserci delle conseguenze. Esserne coscienti e disponibili a subirle è importante fino a lasciarsi tutto alle spalle. 

È questa la terza condizione che chiede: non mettere la propria sicurezza in quello che si ha ma in quello che si da gratuitamente, amando l’altro senza attendersi nulla in cambio. È il medesimo invito di domenica scorsa. Solo chi ama avendo come obiettivo la sola ricerca del bene del fratello, diviene simile al Padre che sta nei cieli e fa l’esperienza della sua stessa gioia.  

Le tre condizioni della sequela hanno un fondo comune: le disponibilità richieste sono possibili solo a delle persone libere da ogni vincolo. Solo chi lo è ed è capace di queste scelte liberamente può realmente seguire il Signore.

Non basta essere usciti dall’Egitto per essere liberi perché si può essere rimasti legati ad una mentalità di schiavitù, alle pentole piene di carne e cipolle: c’è un cammino da fare ed è impegnativo. Su questa esigenza le due brevi parabole centrali porgono l’attenzione richiamando la serietà e l’impegno che comporta la sequela: gli slanci e l’entusiasmo iniziale possono far illudere di essere diventati discepoli. È necessario fare attenzione per non andare a sbattere violentemente: seve costanza e forza per perseverare e riuscire a portare a termine l’impegno assunto senza correre il pericolo di lasciare tutto a metà dell’opera intrapresa. Le tre condizioni non sono allora un banale terrorismo psicologico ma parole di prudenza, che invitano a fare bene i calcoli prima di iniziare un’impresa che si potrà rivelare superiore alle proprie forze. Essere coscienti dei propri limiti è la sola via che permette di accogliere come dono la sequela nella sua radicalità. Appare allora chiaro che questa non è opera dell’uomo ma di Dio che non ci lascia mai soli nelle difficoltà.

(BiGio)

Russia-Ortodossia: triste “onnipotenza”

Dopo la dabbenaggine del presidente americano Donald Trump di concedere al presidente russo Vladimir Putin la vittoria a tavolino sull’Ucraina (Anchorage, Alaska 16 agosto), si rafforza anche la posizione del patriarca di Mosca che ha speso la sua autorità morale per sostenere l’aggressione militare della Russia all’Ucraina. La «sovietizzazione» interna alla Chiesa, con la «verticale» del potere, il soffocamento di ogni dissenso e la «normalizzazione» delle relazioni interne si arricchiscono di nuovi elementi (cf. qui su SettimanaNews).


L’ultimo di tali elementi è la decisione del Sinodo di pretendere da tutte le Chiese che fanno riferimento a Mosca di mettere nel loro titolo ufficiale il lemma «Chiesa ortodossa russa» o «patriarcato di Mosca». Il Sinodo del 24 luglio lo pretende espressamente dall’esarcato bielorusso, ma anche dal distretto metropolitano del Kazakistan. La richiesta verrà progressivamente estesa ed è motivata dall’indirizzo delle Chiese viciniori di accentuare la qualifica nazionale per sottolineare il proprio profilo.Il riferimento richiesto è già attivo per l’Uzbekistan, ma non per la Chiesa ucraina (non autocefala), per quella estone, lettone e moldava....

L'articolo di Lorenzo Prezzi è a questo link:

https://www.settimananews.it/chiesa/patriarcato-di-mosca/?utm_source=newsletter-2025-08-26

Massimo Recalcati: Quel gioco perverso che fa della donna una merce da esibire

Un dispositivo che sembra nuovo, figlio dell’epoca dei social network e della loro logica esibizionista, ma che, in realtà, ha radici antiche: si compila una lista, un catalogo di donne, le “proprie”, per ridurle a corpi da valutare, commentare, mettere in classifica da parte di un gruppo esteso di uomini.

Lista clandestina che raduna uno spogliatoio virtuale di maschi che nel turpiloquio e nell’insulto, nell’apprezzamento pesante e nelle fantasie porno estreme, realizzano, in una complicità gruppale innocentemente feroce, la degradazione maschilista del soggetto femminile a un oggetto di consumo. Il fatto che tutto ciò sia avvenuto rubando le immagini della propria donna per darle in pasto ad altri maschi non solo ribadisce una concezione padronale del rapporto, ma realizza altresì una fantasia perversa. Quale? ...

La riflessione di Massimo Recalcati è a questo link:

https://www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt202508/250824recalcati.pdf

Cina: prove di un nuovo ordine mondiale?

Domenica e lunedì Cina, Russia, India, Iran e altri 23 Paesi si sono incontrati all’annuale riunione della Organizzazione per la cooperazione di Shanghai. Ma che ne sia escito un nuovo ordine globale è tutto da vedere.


Nata nel 2001 come un gruppo per la cooperazione in materia di sicurezza dei Paesi dell’Asia centrale, la SCO è andata man mano allargandosi, fino ad arrivare a comprendere Paesi dal Caucaso, dal Medio Oriente e dal Nord Africa. La riunione annuale è quindi diventata l’occasione per una serie di incontri bilaterali fra Capi di Stato di Paesi non occidentali, e un “modello di nuove relazioni internazionali e cooperazione regionale,” come la descrive il giornale del Partito Comunista Cinese. Alternativo alle organizzazioni a trazione ...

L'analisi dell'ISPI è a questo link:

https://a7b4e4.emailsp.com/f/rnl.aspx/?fjd=rytw_y.-ge=tyah0=ouur/8-70.=&:1e34769&x=pp&wx0b49c16dax.5g=rxr1wNCLM

Quad e Sudan

Una falsa partenza, in fondo prevedibile. Il nuovo quartetto per il cessate-il-fuoco in Sudan si è arenato (temporaneamente?) sulle secche delle tensioni tra i suoi stessi membri.



Facciamo un passo indietro. Dopo il fallimento dei colloqui di Gedda durante l’amministrazione Biden, gli Stati Uniti hanno deciso di rilanciare il formato del Quad con l’obiettivo minimo di riavviare il dialogo tra le Forze di supporto rapido (Rsf) guidate da Hemedti e le Forze armate sudanesi (Saf) del generale al-Burhan. Oltre alla ripresa dei negoziati, Washington mira a garantire l’accesso degli aiuti umanitari nel paese.

L’interesse statunitense per una tregua in Sudan è duplice. Per pima cosa Trump – tornato alla Casa Bianca con l’ambizione di proporsi come grande mediatore globale – cerca un successo diplomatico dopo gli insuccessi nei dossier ucraino e mediorientale. In secondo luogo, gli Stati Uniti intendono contenere l’espansione russa nel Corno d’Africa. Se è vero che l’obiettivo strategico del nuovo presidente resta una Grande Componenda con Mosca e Pechino, la prospettiva di una base navale russa a Port Sudan, sul Mar Rosso, preoccupa sia la Casa Bianca sia gli apparati di sicurezza.

Per rilanciare i colloqui, l’amministrazione Trump ha rivisto la composizione del Quad: fuori il Regno Unito e dentro l’Egitto, insieme ad Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti. Una regionalizzazione apparentemente sensata, vista la limitata influenza di Londra sulla crisi sudanese in questa fase. Tuttavia, è proprio questo nuovo assetto a rappresentare il principale punto debole del Quad.

Secondo alcune indiscrezioni sarebbe stato proprio il Cairo a bloccare un comunicato congiunto che escludeva un futuro ruolo politico sia per le Rsf che per le Saf nella fase di transizione. Le tensioni incrociate sono ormai evidenti: al-Burhan accusa Abu Dhabi di armare le Rsf e si rifiuta di negoziare con gli Emirati. A sua volta, Hemedti denuncia il sostegno militare egiziano alle Saf, adottando la stessa linea di rifiuto.

A complicare ulteriormente il quadro è intervenuta la decisione del comandante delle Rsf di lanciare formalmente il governo parallelo della Sudan founding alliance (Tasis), una settimana prima del vertice del Quad. Una mossa che ha irrigidito ulteriormente la posizione di al-Burhan, il quale considera il riconoscimento esclusivo di Khartoum come unico governo legittimo una condizione non negoziabile.

Il risultato è il più classico dei giochi di veti incrociati. Le rappresentanze dei membri del Quad stanno ora lavorando per convocare una nuova riunione a settembre, in concomitanza con l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite.

Il Quad rimane in piedi, ma la soluzione del rompicapo sudanese appare ancora lontana.

(Domenico Galliani: Limes)


Per approfondire: La guerra in Sudan è lo specchio del mondo multipolare


Verso una politica dell’uguaglianza?

Da "Uno in più" di Battisti a "Più uno" di Ruffini, l'unico modo per fare un passo in avanti politicamente sembra essere quello che si radica nella fiducia e nella partecipazione.


Nel clima di contestazione e di cambiamento di fine anni Sessanta, Lucio Battisti cantava Uno in più. Composta nel 1969 da Mogol e dall’artista di Poggio Bustone, la canzone è un invito ottimistico rivolto al mondo giovanile in un frangente storico ricco di trasformazioni culturali. Il testo rappresenta uno sguardo speranzoso segnato dalla possibilità sia di superare le incomprensioni provenienti dal mondo che stava per tramontare sia di camminare insieme al fine di affrontare con successo ogni difficoltà. Così il brano risulta un appello “motivazionale” teso a guardare il futuro con fiducia e a valorizzare la condivisione. Nell’intitolare la sua ultima pubblicazione con l’espressione Più Uno. La politica dell’uguaglianza(Feltrinelli, 2025), Ernesto Maria Ruffini sembra riprendere implicitamente la carica ideale del testo di Battisti-Mogol per declinarla all’interno del discorso politico e sociale del nostro tempo. Sebbene nell’introduzione l’autore attribuisca...

La recensione di Rocco Gumina è a questo link:

https://www.vinonuovo.it/cultura/officina-del-pensiero/verso-una-politica-delluguaglianza/

Il Vangelo: una notizia o una nozione?

Previsione fantascientifica. Ma non poi tanto. Che, da un certo giorno in poi, nessun cristiano manifesti ad altri la sua fede, né padre o madre insegni a un bambino a fare il segno della croce. Accadesse, nell’arco di due o tre generazioni, la Chiesa scomparirebbe dalla faccia della terra.


C’è quindi un atto ben determinato, la comunicazione della fede dal credente al non credente, che costituisce la condizione stantis vel cadentis Ecclesiae. è, esattamente, il vangelo. Intendo dire l’atto del vangelo, perché prima che definirlo un messaggio e di prenderlo in mano come un libro, vangelo è un atto del dire. È comunicare una notizia, una buona notizia....

La riflessione di Severino Dianich è a questo link:

https://www.settimananews.it/pastorale/vangelo-notizia-nozione/

Il ricollocamento episcopale dopo il tornado di Francesco: tra nostalgia e ritorno del clericalismo

 Il tornado Francesco è passato e, come accade dopo le vere tempeste, la Chiesa universale si ritrova allo sbando, gli arredi cambiati di posto e molti protagonisti si chiedono come ricostruire la baracca e al “tornare come prima”, al prevedibile, al “si è sempre fatto così”. Nessuno esce indenne dalla tempesta profetica di papa Bergoglio, che ha sconvolto tutto in un’istituzione ancorata all’immobilità.


Perché questo è stato Bergoglio: un profeta. E un grande profeta, uno che profumava di puro Vangelo e, con la sua sola presenza, sconvolgeva e agitava l’atmosfera curiale ed episcopale, suscitando o sequele incondizionate o profonde diffidenze e insospettati timori.
I vescovi, soprattutto quelli rifugiati nel comfort dello status quo, camminavano con i piedi di piombo di fronte a un papa che non aveva paura di chiamare le cose con il loro nome o di condannare gli abusi di potere (incluso il clericalismo) alla stessa tavola dei principi della Chiesa.
Ora, con Leone XIV l’aria si è calmata – o almeno così sembra – e la vecchia gerarchia, soprattutto quella più conservatrice, sta timidamente rialzando la testa. “La paura è passata”, dicono nei corridoi e nelle mense episcopali. “Il peggio è passato”.