Temi Caldi / Attualità

Lc 9,11-17 - Corpus Domini

Il partecipare al Pane eucaristico rende l’Assemblea quel “corpo” con il quale Gesù ha narrato Dio e praticato il suo amore accogliendo poveri e peccatori, curando i malati nel corpo, nella mente, nello spirito. Ora sta a noi essere questo corpo. 

Questo contesta ogni spiritualismo del quale purtroppo ancora si soffre rendendo l’Eucaristia un atto di pietà personale mentre non c’è nulla di più lontano.

 


Domenica scorsa nella Festa della SS. Trinità che ha iniziato il “Tempo Ordinario”, ci è stato presentato l’amore del Padre, vissuto nel Figlio, guidato dallo Spirito. Nella Trinità ogni persona è per l’altra e ne discende che ogni uomo si realizza unicamente nella relazione con l’altro, nell’accoglienza, nell’affidamento reciproco, nel completarsi uno con l’altro nella realtà che cambia, si modifica continuamente. Nello scorrere del tempo sorgono nuove necessità, nuovi problemi; sarà l’azione dello Spirito che farà comprendere, facendoci tornare al messaggio di Gesù, come andare incontro a questi bisogni. È questo il ruolo di “guida” dello Spirito, il suo annunciare “le cose future”: la profezia non è indovinare il futuro, ma comprendere come agire nell’oggi esprimendo la regalità di Cristo.

Dopo aver così riassunto il cammino compiuto fino ad ora, la Liturgia con una seconda festa. “Il corpo e il sangue del Signore” ci apre a quello che ci condurrà alla fine di quest’anno Liturgico: la Festa di Cristo Re.

L’Evangelo comincia con un versetto che è come il titolo del tema che sarà svolto. Gesù che, “in quel tempo” (nel nostro tempo), parla del Regno di Dio. È un dirci di rimanere attenti perché ora c’è un “nuovo” inizio di attenzione che ci viene chiesto attorno alla sua attività. All’annuncio viene subito connesso il suo “guarire quanti avevano bisogno” per sottolineare che questo è un legame inscindibile. Ma attenzione, non si deve automaticamente pensare a una attività taumaturgica perché il testo evangelico sottolinea che “guarisce quanti avevano bisogno di cure”. Quindi Gesù si prende cura dei bisogni di chi incontra, qualunque siano questi bisogni (non solo quelli legati alla salute del corpo) e, di fronte a questi, non ha parole di consolazione, ma compie azioni che curano, aiutano, danno sollievo. È un primo grande sintetico annuncio di cosa viene chiesto a chi si pone alla sua sequela, dei compiti a loro affidati: parole e fatti non uno senza l’altro.

Poi c’è un racconto che normalmente chiamiamo “La moltiplicazione dei pani” ma nel testo evangelico questo termine non c’è: c’è invece l’invito a “dare”, cioè a condividere, quello che hanno. 

Nella pericope odierna viene omesso un fatto. Gesù, dopo aver inviato i discepoli in missione, al loro ritorno “Li prese con sé e si ritirò verso Betsaida. Le folle lo seppero e lo seguirono. Egli li accolse” e quando segue, descrive cosa significhi, come vada concretamente interpretato “tradotto” questo verbo. Accogliere significa prestare attenzione, lasciarsi coinvolgere dai bisogni degli altri, mostrare interesse per le loro necessità spirituali e materiali sull’esempio di Gesù che prese a parlar loro del regno di Dio” e a prendersi cura di quanti ne avevano bisogno.

Gesù accolse le folle che vennero a lui e gli si fecero vicino, lo attorniarono a sua sorpresa mentre i discepoli appaiono discosti tanto che, viene sottolineato, “gli si avvicinarono” dicendogli (con un verbo all’imperativo!) di congedare la folla perché tornino nei villaggi per comperarsi da mangiare.

È sorprendente la risposta di Gesù che, letteralmente dice: “Datevi voi da mangiare” o, più chiaramente, “siate voi stessi il loro pasto”. È un anticipo del significato dell’Eucaristia, dove Gesù, il Figlio di Dio, si fa pane, alimento di vita, perché quanti lo accolgono, lo mangiano e lo assimilano, siano poi capaci a loro volta di farsi pane, alimento di vita per gli altri: era quello che li aveva invitati a fare nella loro missione.

I discepoli non comprendono e parlano di “comperare” mentre Gesù li invita (ci invita) a condividere quello che hanno (abbiamo), quello che sono (siamo). Quel suo comando di fatto contesta il loro disimpegno verso l’altro nel bisogno (”congeda la folla perché vada a trovar cibo”); comando che urta, ieri come oggi, contro i parametri di buon senso, razionalità, efficienza che pervadono anche la Chiesa, anche le nostre Comunità.

Il racconto poi prosegue con una serie di richiami biblici: il luogo desertico richiama l’Esodo durante il quale l’alimento fu la mamma; poi c’è la moltiplicazione dei pani operata da Eliseo (2Re 4,43-44): il nostro brano ne è quasi una fotocopia ingrandita; infine l’episodio dei discepoli di Emmaus: “Si fa sera e il giorno volge al declino”.

Se facciamo attenzione quanto viene descritto è quanto viviamo nelle nostre liturgie: dal saluto del presbitero che ci accoglie annunciandoci che la pace è con noi, allo spezzare della Parola di Dio, alla condivisione dell’unico Pane che rende l’Assemblea il Corpo di Cristo fraterno e solidale. Questo contesta ogni spiritualismo del quale purtroppo ancora si soffre rendendo l’Eucaristia un atto di pietà personale mentre non c’è nulla di più lontano. Il partecipare al Pane eucaristico rende invece l’Assemblea quel “corpo” con il quale Gesù ha narrato Dio e praticato il suo amore accogliendo poveri e peccatori, curando i malati nel corpo, nella mente, nello spirito. Ora sta a noi essere questo corpo accogliente ed è a questa prassi che la Liturgia ci accompagnerà a comprendere passo dopo passo nei prossimi mesi.

(BiGio)

Nessun commento:

Posta un commento